STORIA DI REGGIO: ENRICO VI

Il regno normanno, nato come “anomalia”, rimase tale per tutta la sua durata. Pur essendo teoricamente un feudo del papa di Roma, il regno di Sicilia riuscì a mantenersi autonomo rispetto alla politica papale. Il suo sistema monetale si poneva come un mondo a parte rispetto al resto d’Europa e del Mediterraneo, punto d’incontro tra l’area franca del denarius d’argento e quella romea ed araba del nomisma e del dinar aurei. Lo stesso re normanno, pur essendo, di fatto, un sovrano occidentale, non vestiva alla maniera franca, ma adottava il costume imperiale romeo della corte di Costantinopoli, e, alla sua reggia, si parlava greco, arabo, longobardo, franco-provenzale, latino. Gli Ebrei erano non solo tollerati, ma persino graditi. I tarì aurei del regno avevano una faccia scritta in arabo e, sull’altro lato, una croce con legende greche.

L’anomalia doveva dare molto fastidio, soprattutto al papa ed all’imperatore franco, che, dal suo inizio, avevano considerato i domini normanni come propri feudi.

L’oggettiva debolezza militare normanna, palesata in modo evidente dalle vicende messinesi della III crociata, invogliò il papa di Roma ad invitare l’imperatore tedesco Enrico VI di Svevia, figlio del celebre Federico I Barbarossa, ad invadere il regno siciliano, facendosi forte del suo matrimonio con Costanza, figlia di Ruggero II, primo re di Sicilia.

L’esercito imperiale non trovò grandi resistenze da parte delle forze normanne, e la difesa del re bambino Guglielmo III fu tentata solo tramite accordi diplomatici. In pochi mesi, nel 1194, il regno normanno fu conquistato, ed Enrico, nella sua marcia verso la capitale Palermo, entrò nel territorio di Reggio, dal cui porto si imbarcò verso Messina. Fu proprio Enrico VI a concedere al vescovo di Reggio il titolo di Conte di Bova e di Africo, certo per combattere l’ostinazione ortodossa dei Greci di Calabria.

Il regno di Enrico VI fu molto breve. Dopo l’incoronazione a re di Sicilia, egli dovette ripartire per la Germania, per poi ritornare precipitosamente in seguito ad una prevedibile rivolta dei baroni normanni, che avevano visto non certo di buon occhio la calata di nobili e cavalieri tedeschi al seguito dell’imperatore franco, tutti in cerca di buone terre da sfruttare. È di questo periodo il tesoretto di Placanica, in provincia di Reggio, occultato dal barone normanno di quelle terre entro il vecchio perimetro del castello, ormai distrutto, e mai più recuperato, probabilmente a causa della sua morte. Il tesoretto, oltre elementi di gioiellerie, comprendeva svariate centinaia di ektariain lega aurea, rappresentando una somma veramente considerevole.

Sempre dal punto di vista monetale, Enrico VI fece in tempo a inaugurare nella zecca di Messina la coniazione di denarii in argento, per riportare l’economia calabrese e siciliana nell’alveo della tradizione franca d’Europa. Essendo, però, l’oro la moneta dei grandi traffici internazionali, l’imperatore franco non si peritò di sospendere l’emissione di tarì di lega aurea, che erano accettati in tutte le principali piazze mercantili del Mediterraneo, cosicché il ruolo di cerniera economica tra nord e sud esercitato da sempre dallo Stretto e da Reggio ne risultò senz’altro rafforzato.

La breve esistenza di Enrico VI si spense nel 1196 a Messina. L’imperatore franco lasciava grandi problemi irrisolti, tra cui il principale era costituito dalla sua discendenza sul trono di Sicilia. Il suo unico figlio maschio, Federico II, all’epoca era ancora troppo piccolo per salire al trono e la reggenza fu affidata al papa Innocenzo III: il sogno papale di governare il meridione d’Italia era, per il momento, realtà.

 

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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