STORIA DI REGGIO. LA CHORA REGGINA IN EPOCA ROMANA: I CHORIA E LE VILLAE

Fin dall’epoca della fondazione della polis e poi in seguito all’espansione sulle coste ionica e tirrenica, oltre che nell’entroterra aspromontano, lo sviluppo del territorio reggino è stato sempre soggetto a regole che ne permettessero lo sfruttamento e il controllo amministrativo, economico e militare. Nell’epoca greca il sistema di controllo era improntato, almeno sulla costa ionica, meglio studiata, ai choria, cioè a degli insediamenti protetti da una qualche forma di fortificazione o difesi dalla natura stessa, posti ogni due corsi d’acqua di una qualche rilevanza.

Nel distretto soggetto a ciascun chorion, che forse rappresentava i demoi in cui sappiamo essere stata divisa la chora, nel territorio della città, era presente, in piccolo, tutto ciò che serviva per la vita. In ogni demo ionico c’era un centro abitato, un porto o approdo, della terra da coltivare posta a mezza costa sulle falde dell’Aspromonte, un’area industriale, torri e sistemi di controllo. Il sistema era stato abbastanza flessibile da reggere diversi secoli, adattandosi di volta in volta alle necessità strategiche o ai cambiamenti nell’economia. Per esempio, quando la presenza di Bruttii sulle cime dell’Aspromonte rese vulnerabile le vallate dei demi, si provvide a dotarle di fortificazioni con guarnigioni, i peripoli, per evitare l’arrivo di razziatori nemici.

In epoca romana il sistema di sfruttamento del territorio sembra cambiare. Ai tradizionali demi vengono ad affiancarsi delle villae, segno di nuovi padroni, o della riconversione dell’economia produttiva, in qualche caso documentato si ha l’impressione che le nuove ville vengano a prendere fisicamente il posto degli abitanti di epoca precedente, ma finora i dati provenienti dagli scavi archeologici sono assolutamente insufficienti.

Le nuove ville, tranne qualche caso nella stessa area urbana di Reggio, non sono state destinate all’ottium, cioè allo svago dei padroni, ma si configurano come dei veri e propri centri di produzione. In esse non solo si coltiva ciò che serviva, ma si provvide anche a costruire i contenitori da trasporto, trovando anche l’argilla necessaria, e disponevano sempre di un approdo, se non di un vero e proprio porto, per l’immissione dei prodotti sul mercato internazionale o locale.

Tale processo, come e ovvio, non avvenne in poco tempo, ma occorsero decenni e forse secoli perché fosse attuato, e, nel corso del tempo, le ville subirono una graduale evoluzione fino a diventare veri e propri palazzi.

Alcune di queste ville emergano anche per la loro magnificenza, già nei primi secoli della nostra era. A Lazzaro si scava da alcuni anni una villa patrizia che aveva anche un grandioso monumento funerario, un vero e proprio mausoleo, i cui sarcofagi erano opere d’arte importate direttamente da Atene.

La creazione di questo sistema di villae non si pose contro gli interessi della città di Rhegion, o Regium Iulium come la chiamavano i Romani del primo secolo dell’Impero, visto che la polis sembra essere sempre prospera e vitale, ed il suo porto sempre più importante. Ma le scelte politiche dei Romani, e soprattutto quella di indirizzare tutto il traffico su terra lungo la via Popilia, posta sul tirreno, ebbero un effetto devastante sulle municipalità greche della costa ionica. Già Petronio Arbitro, nella sua opera Satyricon, mostra una Crotone in piena decadenza urbana, con una crisi che dovette essere devastante.

La grande potenzialità economica della Calabria ionica, perduta la grandezza delle poleis magnogreche, venne così incanalata nel sistema produttivo delle villae, mentre, lentamente, i centri urbani continuavano irrimediabilmente a svuotarsi. A Locri stessa la contrazione  dell’abitato permise la costruzione di ville entro la stessa cinta delle mura urbiche, mentre a Gioiosa registriamo addirittura il caso di una villa con un teatro, una volta emblema stesso della vita della polis.

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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