STORIA DI REGGIO: LA STATUA MIRACOLOSA DELLO STRETTO

Trattiamo adesso di un antico monumento reggino, nei tempi antichi tanto famoso da essere utilizzato per indicare lo stesso Stretto, all’epoca chiamato di Scilla e non di Messina.

Parallelamente alla sistemazione della via Popilia dovette essere pensato di monumentalizzare il punto di traghettamento verso la Sicilia, che avveniva all’epoca non da Villa San Giovanni verso Messina ma da Stilida verso Capo Peloro. In entrambi i posti furono costruite delle piccole torri, destinate a fare da punto di riferimento durante il giorno e a ricevere dei falò sulla sommità durante la notte.

La torretta reggina, in greco appunto Stilida, era situata presso un santuario di Poseidon, per cui dovette sembrare naturale decorare la sommità della torre con una gigantesca statua della divinità marina, utilizzando come modello il Poseidon realizzato dal grande scultore Lisippo. Il dio posa il suo piede destro sopra una prua di nave, recando un grande tridente nel braccio sinistro, mentre nella mano destra, appoggiata al ginocchio, tiene un delfino.

La statua, indispensabile per puntare la prua della nave provenendo dalla Sicilia, fece immediatamente fortuna, identificando il punto di approdo, chiamato nelle fonti “Ad Statuam”, o “Ad Columnam”. Il punto di traghettamento verso la Sicilia era tanto importante da essere segnato sulla “Tabula Peutigeriana”, una specie di mappa stradale dell’epoca tardoantica e medievale, con un segno più grande di quello che contrassegna le città.

All’epoca del BellumSiculum dopo una grande battaglia navale, Sesto Pompeo, per proclamarsi padrone dello Stretto, fece coniare dei denari d’argento con, al dritto, la Sicilia sormontata da Poseidon e la nave pretoria, l’ammiraglia della flotta pompeiana, mentre al rovescio una Scilla combatte contro un nemico invisibile, ma facilmente identificabile nella flotta di Ottaviano e Agrippa.

Dopo una vittoria contro Pompeo la legione Decima, che aveva combattuto sotto Ottaviano, prese il nome di Fretensis, cioè “dello Stretto”, per il valore dimostrato nelle battaglie, per poi essere inviata di guarnigione in Siria. La Legio X Fretensis combatté in seguito al comando di Vespasiano e di suo figlio Tito nel Bellum Iudaicum. Dalle iscrizioni funerarie dei soldati della legione e dalle contromarche sulle monete sappiamo che il suo stemma era costituito proprio dal Poseidon di Stilida, che, come appare evidente, simboleggiava lo Stretto anche in Oriente. In prosieguo di tempo, il popolo, vedendo il fuoco del faro e l’acqua sorgiva per rifornire le navi, ha fantasticato di una statua miracolosa, che sprigionava contemporaneamente fiamme e acqua.

La fama della statua fu destinata ad aumentare nel 410, quando Alarico, dopo avere saccheggiato Reggio con i suoi Visigoti, tentò di portare la devastazione alla vicina Sicilia, ma, secondo lo storico Olimpiodoro tebano, fu preso da sgomento di fronte alla statua gigantesca e decise di non attraversare lo Stretto, e di ripiegare verso nord.

Dopo qualche anno, un potente amministratore del patrimonio imperiale in Sicilia di nome Asclepio, inviato dall’imperatrice Galla Placida e da suo marito, essendo fervente cristiano, al momento di passare per la Sicilia si adirò moltissimo vedendo in piedi una statua di Poseidon, addirittura considerata miracolosa. Forte della sua autorità più che di un vero e proprio potere legale, ordinò immediatamente la distruzione della statua, cosa che prontamente venne eseguita. La propaganda pagana, approfittando della coincidenza di una successiva eruzione dell’Etna e di scorrerie di barbari in Sicilia, mise in giro la voce che la statua dello Stretto proteggeva proprio dai barbari e dalla lava, così che la sua distruzione aveva attirato sciagure in Sicilia.

Ma, anche distrutta la statua, la storia di Stilida non finì in quel momento. La colonna/faro continuò a svolgere egregiamente il proprio compito, fino a che il punto di approdo in Sicilia non venne spostato più vicino a Messina, ma rimase ancora per secoli a testimoniare un glorioso passato. Lo storico Paolo Diacono, nella sua Storia dei Longobardi, ci ha trasmesso un episodio, che, per quanto di fantasia, ci dimostra il potere dei simboli. Secondo lo storico, nel VII secolo, il re longobardo Autari spinse le sue scorrerie fino alla Calabria meridionale, arrivando con una piccola scorta fino a Stilida. Giunto in quel posto, dovette entrare in mare con il cavallo, visto che c’era stato un arretramento della costa, e la colonna era ormai in mezzo ai flutti. Si sporse a toccare con la punta della lancia la colonna, affermando che i confini dei Longobardi sarebbero arrivati fino a quel punto. Si trattava di un gesto  simbolico e politico allo stesso tempo: la colonna di Stilida segnava la fine dell’Italia antica, e, toccandola, il re Autari proclamava la volontà di conquistare l’intera penisola, progetto che non si concretizzò mai.

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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