STORIA DI REGGIO: LE MITICHE ORIGINI

Il nostro racconto prende origine da un tempo oscuro, conosciuto solo tramite miti e leggende, l’unico modo che gli antichi avevano per tramandare il proprio passato alle nuove generazioni, prima che i Greci “invadessero” la scienza storica. Queste tradizioni leggendarie, che noi moderni scambiamo spesso per favole, contenevano, invece, una percezione sfumata ma sostanzialmente esatta del passato e si ponevano come linee guida della politica della città. In esse si trovavano le origini e le identità etniche che la città vuole affermare o ribadire – e che possono anche cambiare nel corso del tempo – come pure gli amici e i nemici storici, i confini fissati dagli dei al proprio territorio cittadino, i propri culti peculiari, la giustificazione del possesso ab antiquo della terra che si abita.

Per quanto riguarda il passato più remoto del territorio di Reggio, gli autori antichi ci parlano del passaggio di Eracle (l’Ercole dei Romani) sulle rive dello Stretto e di tre miti a lui connessi. Nel primo mito l’eroe, di ritorno dall’impresa dei buoi di Gerione (una delle dodici fatiche di Ercole), avrebbe dovuto inseguire un vitello gettatosi a nuoto nello Stretto, per recuperarlo proprio nel sito di Reggio, chiamata da ciò la “terra del vitello”, cioè Vitulìa, e quindi Italìa. Nasceva così il nome di  Italia che per secoli designò soltanto la parte estrema meridionale della Calabria.

In un altro racconto si narrava, invece, la razzia da parte del mostro di Scilla, “leonessa divoratrice di tori” di alcuni buoi della mandria che Eracle conduceva con sé. Il mostro, però, avrebbe pagato caro l’affronto al figlio di Zeus, venendo ucciso dall’eroe, anche se Forco, padre di Scilla, sarebbe riuscito a farla resuscitare.

Nel terzo mito, famosissimo nell’antichità, Eracle stava attraversando la ionica reggina quando, vinto dalla stanchezza, cercò di prendere sonno presso le acque del fiume Halex (“salato”, per noi la fiumara di Palizzi), ma le cicale, con il loro frinire, glielo impedirono. Allora, Eracle avrebbe pregato il padre Zeus di farle tacere, venendo prontamente accontentato: da quel momento le cicale tacquero per sempre sul versante reggino del fiume Halex, che poi divenne il confine con la polis di Locri Epizefiri.

Le tre leggende sono state considerate dagli antichi molto importanti: l’eroe, con il nome di Eracle Reggino, divenne il protettore dei confini della polis. Presso la fiumara Petrace (in antico Metauros), confine con Medma, si è trovata traccia di un “santuario di confine” dedicato a Eracle Reggino, mentre in antico il Capo Spartivento, presso cui era il confine con Locri, si chiamava Promontorio Eracleo.

Omero ci tramanda, poi, che il grande eroe Odisseo (l’Ulisse dei Romani), una generazione dopo Eracle, dovette passare per ben due volte dallo Stretto, perdendo alcuni compagni durante la prima traversata a causa di Scilla.

I miti riguardanti le origini mitiche della città di Reggio prima dell’arrivo degli Elleni, invece, sono stati quasi tutti andati perduti nel grande e funesto naufragio del sapere e dell’arte della Magna Grecia, occorso durante i secoli dell’Impero Romano. Ciò che si è fortunatamente conservato ci parla del possesso del territorio reggino da parte del mitico re Eolo l’Ausone (divenuto per Omero il dio dei venti). Egli fondò nel sito di Reggio una città, chiamandola Erythrà, che in greco significava ”la Rossa”, un enigma ancora irrisolto.

Fu suo figlio Giocasto – probabilmente con un aratro, secondo il costume italico – a segnare i confini di una nuova città. Prima della guerra di Troia il re Giocasto, sul sito di Erythrà fondò Reggio, che significa, secondo Strabone e molti studi recenti, “la città del Re” nella lingua dei Siculi che abitavano il posto, anche se Eschilo ed altri ateniesi cercarono in seguito di ricondurre il nome ad una falsa etimologia greca. Il re Giocasto abitò per lunghi anni a Reggio, fino a morire, ucciso dal morso di un serpente. La sua tomba monumentale (un tumulo?) e un tempio, probabilmente molto vicino al fiume Calopinace, erano ancora onorati quando gli Elleni si stabilirono a Rhegion.

Di un altro re ci  narrano le leggende patrie. Si tratta di Italo l’Enotrio, che, secondo gli antichi, avrebbe scoperto e diffuso la coltivazione dei campi ed i banchetti in comune dei guerrieri della città, oltre che dare nome agli Itali e all’Italia. Secondo una tradizione antica tramandataci da Plutarco, una sua figlia, di nome Rome (che in greco significa “forza”) fondò e diede nome alla città di Roma.

I miti narrati ci fanno comprendere che i tre nomi antichi dell’Italia (Ausonia, Enotria, Italìa) sono strettamente connessi con Reggio. Le difformità e le contraddizioni nelle narrazioni sono facilmente spiegabili: gli Ausoni erano considerati Italici, dello stesso ceppo etnico dei Latini, mentre gli Enotri erano creduti Arcadi, cioè Greci. Di chi era la terra di Reggio ab antiquo?  Vale a dire: chi aveva diritto al possesso della terra reggina? Gli Ausoni/Romani o gli Enotri/Greci? Dalla risposta sarebbe dipeso il futuro di Rhegion, sempre in bilico tra l’oriente ellenico e l’occidente latino.

Queste narrazioni ci permettono di intuire la presenza degli indigeni precedenti la venuta dei Greci: le varie tribù si erano spartite il territorio dell’attuale Calabria meridionale. Oltre agli Itali, conosciamo solo i Siculi, che abitavano l’Aspromonte reggino (e che poi passarono in Sicilia e imposero all’isola il loro nome), ed i Morgeti, che si stanziarono nella parte interna settentrionale dell’attuale provincia di Reggo.

Un ultimo mito fu posto dagli antichi nel territorio di Rhegion. Si tratta della purificazione di Oreste, figlio di Agamennone, che, tormentato dalle Erinni per l’assassinio della madre (per vendicare quello, proditorio, del padre) voluto da Apollo, si fece purificare nei Sette fiumi di Reggio, nella Piana di Gioia Tauro, lasciando una spada a perenne ricordo dell’avvenimento in un tempio presso Bagnara, e un albero di alloro, da cui i Reggini strappavano le fronde quando dovevano recarsi a Delfi.

 

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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