Mag 5 2017
STORIA DI REGGIO: LE GUERRE CONTRO DIONISIO IL VECCHIO E LA CONQUISTA DI RHEGION
La spedizione ateniese nel 413 a.C. si trasformò in un immane disastro. Rhegion, però, grazie alla sua neutralità, non risentì eccessivamente della sconfitta del suo alleato. A Siracusa, invece, la situazione divenne critica. Ermocrate, dopo la vittoria contro gli Ateniesi, aveva convinto l’assemblea ad inviare una spedizione navale in oriente a sostegno degli Spartani, insieme con altri alleati sicelioti. La spedizione, però, non ebbe l’esito sperato, anzi Ermocrate si trovò ad essere esiliato ed a dovere tornare in Sicilia al comando di alcuni mercenari, al fine di tentare di rovesciare il governo siracusano. Nei torbidi che seguirono la morte di Ermocrate si mise in luce un suo seguace, Dionisio, che si trovò a fronteggiare il più formidabile attacco cartaginese di tutti i tempi contro la grecità siciliana. Nonostante le numerose sconfitte, Dionisio riuscì a passare da generale a stratego autocrate fino a tiranno e divenne il più formidabile nemico della grecità calcidese, tanto da suscitare la reazione di Rhegion e Messana. In un primo momento, le città dello Stretto fomentarono una rivolta interna a Siracusa, che per poco non riuscì a vincere il tiranno. In quel frangente, si rivelarono decisivi i 500 cavalieri campani che Rhegion aveva arruolato – e pagato con buoni tetradrammi con testa di leone/testa di Apollo – a beneficio di Atene, e che, dopo la sconfitta ateniese, non erano tornati in patria, ma erano stati insediati dai Cartaginesi nella cittadina strategica di Entella in Sicilia.
Sempre pronti a nuove imprese, essi corsero in aiuto di Dionisio, assediato dentro Ortigia, lasciando i bagagli presso un tirannello siculo suo alleato. Il loro intervento cambiò il corso della storia: Dionisio riuscì a mantenere il potere quando si era già dato per spacciato lui stesso. I 500, però, non rimasero a Siracusa. Il tiranno li congedò con ricchi doni ed essi tornarono ad Entella, dove, con l’ennesimo colpo di mano, si installarono non come guarnigione al soldo dei Cartaginesi, ma da padroni, cominciando a coniare moneta utilizzando come tondelli i tetradrammi reggini che avevano avuto come pagamento per i loro servigi durante la Guerra del Peloponneso.
Il successo dionigiano impose a Rhegion ed a Messana di tentare di eliminare il tiranno con le proprie forze. Il pericolo, infatti, era diventato palese: Dionisio, non contento di avere fatto distruggere Himera, Selinunte, Agrigento e Gela dai Cartaginesi, aveva imposto tiranni a lui fedeli a Katana ed a Naxos, per poi destituirli e radere al suolo le due poleis calcidesi. Al posto degli abitanti greci, poi, Dionisio stava installando ovunque mercenari a lui fedeli, che gli garantivano una maggiore tranquillità. Ancora una volta unite, Rhegion e Messana unirono le loro forze navali e terrestri e si apprestarono a marciare contro Siracusa. Ma proprio i Messani, su istigazione di un demagogo, ritirarono il loro contingente quando già gli eserciti erano in marcia, costringendo anche i Reggini a desistere dall’impresa.
Reggio, da quel momento, divenne il punto di riferimento di tutti gli esuli siracusani, espatriati per odio alla tirannide, tanto che il comando dell’esercito fu assunto proprio da un siracusano di straordinaria energia e talento, Phython. Fitone e suo figlio divennero l’anima della resistenza greca contro il tiranno, riuscendo a difendere Rhegion per più di un quindicennio.
Il tiranno, in un primo momento, tentò di allearsi con i Reggini, venendo a Rhegion proprio allo scopo di chiedere in moglie una ragazza delle casate più illustri. La risposta dei Reggini fu sferzante: al posto di una nobile donna offrirono al tiranno la figlia di un boia. Per tutta risposta, Dionisio si sposò contemporaneamente con una donna locrese e con una siracusana, giurando di vendicarsi sui Reggini.
Nel 396 a.C., intanto, i Cartaginesi riuscirono a conquistare e distruggere Messana. La polis fu ricostruita da Dionisio il Vecchio, che vi insediò Locresi e Medmi, gente fidata, votata alla causa della tirannide. Reggio era ormai da sola, e si rivolse per aiuto alla Lega Italiota, dominata da Crotone. Per la prima volta nella sua storia Rhegion si ricordava di essere una polis in Italia e non in Sicilia. Proprio la nuova alleanza, però, ebbe come risultato quello di rinvigorire l’offensiva dionigiana.
Il primo assalto siracusano fu sventato dallo stesso mare (i Greci avrebbero detto: da Poseidone): la flotta imponente mandata da Dionisio contro Rhegion fu distrutta da una tempesta di inusitata violenza. Fitone riuscì a sventare anche un secondo assalto, che si stava realizzando mediante l’incendio di una porta urbica.
Nonostante questi parziali successi, però, il piatto della bilancia pendeva sempre troppo a favore del tiranno, che aveva continuato a reclutare mercenari greci, etruschi, galli ed oschi, a “creare” interi popoli, come i Lucani (in greco Leukanoi= “i Bianchi”), a fondare colonie fino in Istria e nelle isole dalmate (facendo dell’Adriatico un lago siracusano). L’impari scontro si ebbe nella battaglia dell’Elleporo, presso Kaulonia, dove l’esercito italiota, schierato con le consuete falangi di opliti, venne disfatto da una multietnica massa di armati, capace di combattere in vari modi e con tattiche diversissime. Dopo la sconfitta, l’intera Magna Grecia meridionale ormai era nelle mani di Dionisio, che “regalò” Skylletion/Squillace alla fida Locri, e distrusse Kaulonia. La sorte di Crotone fu rimandata solo di pochi anni.
Ai Reggini non restò che venire a patti con il tiranno, e furono condizioni molto dolorose. Oltre ad un ricco tributo in oro ed argento, a Rhegion fu chiesto di consegnare la flotta da guerra di 80 triremi ben equipaggiate. Era l’inizio della fine.
Dopo qualche tempo, il tiranno mandò a chiedere ai Reggini l’apertura di un mercato fuori le mura, al fine di approvvigionare l’esercito siracusano. I politici regginie lo stratego Fitone compresero immediatamente che si trattava solo di un espediente tattico di Dionisio per poter portare via viveri alla polis, al fine di poterla assediare a proprio agio. Ovviamente, la risposta negativa del governo reggino significò l’immediato inizio delle ostilità e l’assedio della città.
Probabilmente il tiranno aveva confidato in una rapida risoluzione del conflitto, forte delle nuove “armi segrete” costruite dai suoi ingegneri bellici: le catapulte, capaci di lanciare giavellotti e pietre contro i difensori. I piani del tiranno, invece, si infransero contro la pervicace resistenza dei Reggini e lo straordinario valore del loro comandante, tanto che, almeno in una occasione, lo stesso Dionisio quasi rimase ucciso.
Non rimaneva al tiranno che prendere la città per fame, giacché il coraggio, unito all’ottima posizione orografica di Rhegion, impediva che essa capitolasse con la forza. Tra gli aneddoti di questo assedio, che si protrasse per undici mesi tra il 387 a.C. ed il 386 a.C. (e che divenne l’avvenimento caratteristico di quell’anno, lasciando addirittura la presa di Roma da parte dei Galli di Brenno come evento secondario), si ricorda quello che i Reggini che uscivano dalle mura per strappare l’erba per cibarsi almeno di quella. Dionisio, per evitarlo, mandò allora dei buoi a pascolare in quei campi e togliere anche questo estremo conforto. Altre fonti parlano di casi di cannibalismo avvenuti in città, oppure del prezzo del poco grano rimasto, che era diventato fuori misura.
Dopo avere resistito fino all’inverosimile, Rhegion si dovette arrendere, ma le condizioni poste dal tiranno furono durissime: i cittadini che non potevano pagare un riscatto sarebbero stati venduti come schiavi, mentre la polis avrebbe cessato, in ogni caso, di esistere come stato autonomo. In quell’occasione i meteci (stranieri che vivevano a Rhegion non come cittadini) dimostrarono il loro attaccamento alla città accollandosi il pagamento delle forti somme che servivano a riacquistare i Reggini che non potevano permettersi il prezzo del riscatto.
Tutto il mondo greco s’indignò fortemente contro il tiranno anche per il modo barbaro con cui punì Fitone. Il valente stratego dei Reggini dovette guardare il figlio mentre era gettato dalle mura di Rhegion, prima di essere anche lui finito. Non ci fu pietà per l’onore. Prove archeologiche della presa della polis rimangono, a nostro avviso, i Bronzi del relitto di Porticello. Secondo alcuni importanti archeologi americani, questi straordinari reperti sono una parte del bottino diongiano di Rhegion, statue importanti della città, opere di grandi e valenti artisti, rotte a martellate e vendute come lingotti di bronzo a mercanti di passaggio
Nella città, ormai centro fortificato e non più polis, fu ospitata una poderosa guarnigione, mentre il suo territorio fu smembrato per ricompensare alcuni mercenari dionigiani e mettere catene di ferro allo Stretto ed a Reggio. Nella Piana, sulle rive del (Me)Tauro si creò uno Stato per mercenari oschi, chiamati Tauriani dal loro animale totemico, un topo appunto. Questa popolazione si insediò facendo perno su due centri principali: sul mare Taisia (o Tauriana), odierna Taureana di Palmi, e nell’interno Mamertion, la bizantina Sant’Agata e poi Oppido Vecchia, presso Oppido Mamertina. Il populus dei Tauriani rimase, da allora, una vera e propria spina nel fianco di Rhegion, senza mai più tornare sotto il controllo dei Reggini. Scilla, almeno a giudicare da una serie monetale, dovette essere data ad altro gruppo di mercenari, anche se, data l’importanza strategica del sito, tornò a fare parte, in seguito, del territorio di Rhegion. Forse anche la Bovesia, sullo Ionio, fu costruita in uno Stato a parte, ma anch’essa tornò, dopo qualche decennio, stabile possesso dei Reggini.
A Rhegion, invece, il tiranno si fece costruire un sontuoso palazzo, famoso per avere ospitato i primi alberi di platano in Europa. Dopo la riconquista della libertà, il palazzo fu trasformato in ginnasio pubblico, per gli esercizi sportivi e l’apprendimento culturale dei giovani reggini. Tracce archeologiche fanno ipotizzare la sua sede presso la Banca d’Italia sul Corso Garibaldi.
Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio
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