STORIA DI REGGIO: CRONACA DELL’INVASIONE ARABA

Nell’anno 6335 i Saraceni vennero in Sicilia, il 15 del mese di luglio, indizione V”. Così  inizia una cronaca medievale, a nostro avviso scritta a Reggio, che riporta le principali date ed avvenimenti della grande guerra contro gli Arabi in Sicilia e Calabria. La data 6335, chiamata, “epoca mondana costantinopolitana”, prende avvio da Adamo ed Eva, secondo la concezione antica, e fu seguita, dopo l’avvento del Cristianesimo, dall’Impero Romano, sostituendo altri sistemi di datazione. L’epoca mondana costantinopolitana fu seguita in Calabria ben oltre la conquista normanna. Seguendo questa datazione, dal 1 settembre del 2016 d.C. siamo nell’anno 7525. L’anno 6335, quindi, cominciò il 1 settembre 826 ed ebbe termine il 30 agosto 827. Nel sistema antico era prevista anche la menzione dell’indizione, dalla I alla XV. Si tratta di un modo per calcolare le entrate fiscali, modulato sui cicli di piena del Nilo, che gli antichi hanno osservato essere ciclici con una durata di 15 anni, con una portata del fiume che cresceva gradualmente fino al 7/8° anno, per poi decrescere. Si era osservato che la quantità di raccolti, oltre che, ovviamente, in Egitto, nell’intero mondo mediterraneo era proporzionata rispetto alla quantità d’acqua del Nilo, così che le tasse erano calcolate proporzionalmente in modo crescente fino al 7/8° anno, e poi in modo decrescente.

Il 15 luglio dell’anno 827 cominciava il terzo attacco alla fortezza europea da parte degli Arabi, che erano stati fermati, ad occidente, dai Franchi di Carlo Martello a Poitiers, dopo la loro conquista di gran parte della Spagna visigota, e da Leone III davanti alle mura di Costantinopoli.

Il cactus belli per l’attacco alla Sicilia era dovuto alle ambizioni del turmarca (governatore della turma) di Messina, Eufemio, il quale si era ribellato all’autorità romana, chiedendo aiuto militare ai Saraceni d’Africa, recandosi personalmente a Qairewan. Eufemio si rese immediatamente conto che la spedizione di Saraceni e Berberi, affamati di buone terre da coltivare, non era certo al suo servizio, e che i Musulmani, una volta messo piede in Sicilia, non se ne sarebbero mai andati via spontaneamente. Compreso ciò, si dissociò dalla spedizione, mantenendo una posizione autonoma, e finendo i suoi giorni a Calatafimi, che in arabo significa appunto “il castello di Eufemio”.

Dopo lo sbarco a Mazara, i Saraceni riuscirono a conquistare, dopo 3 anni, la fortezza di Mineo, ed a vincere in battaglia il comandante militare dell’esercito siciliano, il patrikios (“patrizio”: un alto titolo aulico romeo) Teodoto. Si tratta dell’unica grande battaglia campale della prima fase dei combattimenti. Battuti sonoramente, i Romei per molti anni non tentarono più di affrontare in campo aperto i Saraceni, affidando la difesa della Sicilia alla bontà delle fortificazioni, contando sull’incapacità dei Musulmani di apprestare opere d’assedio.

La guerra si trasformò, come quella contro i Longobardi, in una secolare partita a scacchi, con la difesa strenua e disperata di ogni fortezza romea, segnata da conquiste e riconquiste delle stesse località. Dal punto di vista militare, non c’è dubbio che l’esercito romeo fosse meglio armato e più addestrato di quello dei Saraceni, e ancora degno della grandezza delle legioni romane per organizzazione e logistica, ma i Romani scontavano l’eterno tallone di Achille di tutti gli eserciti composti da liberi cittadini e contadini proprietari di terre: l’impossibilità di sostenere gravi perdite di uomini. I soldati romei erano corazzati, ben guidati e dotati di una efficace tattica di combattimento, elaborata dopo due secoli di lotte contro gli Arabi, basata su arcieri a cavallo che fiaccavano il nemico e che lo costringevano a lunghi inseguimenti, fino a farlo cadere in imboscate in cui la cavalleria catafratta romea aveva la meglio sui veloci cavalieri arabi, quasi sprovvisti di armamento difensivo.

Il sistema non teneva conto, però, che Saraceni e Berberi non calcolavano affatto le loro perdite, continuando ad attaccare i Romei anche se gravemente decimati, mentre i generali dell’esercito imperiale avevano espressamente l’ordine di preferire una sconfitta senza perdite umane ad una sanguinosa vittoria.

Date queste premesse, era difficile che una battaglia campale potesse risolversi a vantaggio dei Romei. Del resto, esistevano altre armi per combattere il nemico, quali la corruzione, la diplomazia o lo spionaggio, ed in questo i Romani erano maestri indiscussi, oltre che la capacità di costruire fortezze inespugnabili, grazie alla secolare esperienza romana di architettura militare.

La cronaca reggina degli avvenimenti, pur nella sua scarna essenzialità, scandisce con mesta precisione militare non solo il susseguirsi del lento stillicidio di conquiste saracene, ma si sofferma anche su altri importanti avvenimenti di quegli anni. Sappiamo così che nell’831 venne conquistata Palermo, fino ad allora un centro non certo importantissimo, e che divenne, grazie ai Saraceni, interessati soprattutto alla metà occidentale della Sicilia, la capitale dell’isola. Dopo poco anche Messina, nel mondo antico considerata città indifendibile, si consegnò agli invasori musulmani. Reggio diventava prima linea di resistenza nei confronti dei Saraceni.

Nell’841/42 la Sicilia fu invasa da cavallette, e probabilmente a Reggio si riportò questo dato perché dovette diminuire la produzione di grano isolano da cui la Calabria dipendeva. Dopo due anni la cronaca segnala il ritorno dell’ortodossia iconodula a Siracusa, dopo la seconda parentesi iconoclasta, grazie all’arrivo dell’Arcivescovo Gregorio Asvesta, letterato ed amico del patriarca di Costantinopoli, San Fazio, il più grande dotto della sua epoca. Altri due anni dopo, nell’846/7 la cronaca segnala una grave carestia, e nell’852/3 un grande terremoto. Sappiamo anche nel 873 gli Ebrei presenti nel Thema di Sicilia vennero obbligati a farsi cristiani, probabilmente perché la guerra imponeva ai Romei di potere contare su una compagine statale compatta, senza comunità etniche che potevano trattare con i Saraceni in modo autonomo ed aprire le porte della città in cui si trovavano.

La guerra contro i Saraceni non conta solo sconfitte: nell’858 la flotta romea riuscì a catturare navi da guerra musulmane.

Un momento cruciale del conflitto è segnato, nell’859, dalla inopinata conquista saracena di Enna, vero punto strategico dell’intero sistema difensivo dell’isola, già varie volte sottoposta ad assedio. Il kastron di San Giovanni, come si chiamava allora Enna, posto esattamente al centro della Sicilia, era dotato di difese naturali e costruite che lo rendevano assolutamente inespugnabile. La sua caduta, infatti fu dovuta solo a tradimento.

Nell’anno 878 il mondo comprese che la conquista della Sicilia da parte dell’Islam era ormai vicina. In quell’anno, infatti, venne conquistata la capitale del Thema e città più grande e nobile dell’intero occidente, Siracusa. La città venne sottoposta ad un barbaro saccheggio, e non si riprese mai più dalla sconfitta. Ci sono rimasti echi accorati e descrizioni della sua caduta, che fecero il giro dell’ecumene, a testimonianza dell’importanza assunta da Siracusa fino ad allora. I prigionieri cristiani superstiti furono liberati solo sei anni dopo dallo stratego Polite.

La caduta di Siracusa costrinse i Romei a riconsiderare l’assetto militare ed amministrativo dell’intero scacchiere. Al posto di Siracusa, Reggio divenne sede dello stratego di Sicilia, con il suo Pretorio, centro amministrativo e nuova capitale dell’Occidente. Coerentemente, l’Arcivescovo di Reggio divenne il primate dell’Occidente imperiale.

Questa situazione si riflette  nell’opera di narrativa più letta nell’intero medioevo, il “Romanzo di Alessandro”, in cui il protagonista, Alessandro Magno, dopo essere stato nell’oasi di Siwa, in Egitto, per farsi proclamare figlio di Zeus, invece di ritornare verso il Medio Oriente, come storicamente fece, prosegue la conquista dell’Occidente, espugnando Cartagine, per poi imbarcarsi verso la Sicilia e annetterla al suo potere. Arrivato sullo Stretto, Alessandro decide di traghettarlo, e, arrivato a Reggio, viene raggiunto dai consoli dei Romani, che gli consegnano due diademi (uno di perle e l’altro di pietre preziose), del denaro e delle truppe, oltre che riconoscerlo come il kosmokrator, il “signore del mondo”. Reggio sede dell’incoronazione di Alessandro a sovrano di tutta la terra: la propaganda romea sostiene, contro i Franchi che hanno conquistato Roma e asservito il papa ai propri programmi di conquista dell’Occidente, che il possesso della Calabria e di Reggio garantisce all’imperatore a Costantinopoli il diritto a regnare su tutta la terra abitata.

Dall’879 sappiamo che a Reggio era attiva una zecca, i cui resti sembra fossero sotto l’attuale palazzo San Giorgio a Piazza Italia, erede dell’officina siracusana, che coniò monete in oro e in rame. Si tratta, di emissioni celebrative della cooptazione al trono del secondo figlio dell’imperatore Basilio I, Alessandro (futuro Alessandro I), che affiancava il primogenito Leone (futuro Leone VI). Le monete auree dovevano servire per eseguire i donativi all’esercito ed ai funzionari occidentali previsti dal cerimoniale di corte. A quel tempo nell’intero Impero Romano erano attive solo le zecche di Costantinopoli e di Reggio.

Ormai Reggio si trovava ad essere l’obiettivo delle armate saracene, mentre in Sicilia la guerra consisteva solo nel difendere le residue fortezze.

La Cronaca di Reggio si dimostra molto attenta ed informata su quanto avviene anche nel campo avverso, segnalando doverosamente una delle tante guerre intestine islamiche, che riuscivano a rallentare la conquista della Sicilia.

Nell’888, però, sappiamo che in una grande battaglia navale, la flotta imperiale era stata pesantemente sconfitta presso Milazzo, al punto che la popolazione reggina decise di abbandonare il kastron e di rifugiarsi nelle montagne. Ma già l’anno successivo i Berberi di Sicilia si ribellarono all’emiro di Africa e nell’895 la diplomazia romea era riuscita ad ottenere una pace con i Musulmani, impegnati nella loro guerra civile.

Tre anni dopo i Berberi in Sicilia passarano con un esercito in Africa, mentre anche i Franchi (per i Romei con questo nome si indicavano tutte le popolazioni di stirpe germanica che avevano conquistato le Gallie e l’Italia centro-settentrionale) erano inattivi sul fronte dell’Italia meridionale, perché impegnati in guerre fra loro.

La scelta romea di appoggiare i Berberi di Sicilia contro il Gund di Africa non si rilevò azzeccata. Nel 900, infatti, il condottiero ‘Abu ‘al ‘Abbas, sbarcato a Trapani, distrusse la flotta sicula, conquistò Palermo con la forza, compiendo stragi efferate, e riprese pieno controllo della Sicilia musulmana. L’anno seguente, il 10 di giugno, l’esercito musulmano investì con forza Reggio, conquistandola.

Il bottino riportato in Africa, in oro e schiavi, secondo le fonti, fu straordinariamente grande. Anche se le conquiste di ‘Abu ‘al ‘Abbas si interruppero presto, con la morte del condottiero a Cosenza, la data del 901 è una di quelle fatali nella storia di Reggio. Il governo imperiale comprese, in quell’occasione, che la città non poteva essere difesa con successo, e che era un rischio altissimo lasciarvi una zecca operativa. La città mantenne il suo status di capitale, ma si provvide a creare una seconda sede per lo stratego e per il prezioso archivio del Thema, scegliendo l’inespugnabile fortezza di Santa Severina, nel Marchesato crotonese, che da poco era stata riconquistata dalle mani dei Saraceni. Il kaston di Santa Severina, rimesso in luce grazie a recenti scavi, doveva garantire l’invulnerabilità dello stratego e del Pretorio.

La difesa di Reggio dovette essere riorganizzata su nuove basi, ovvero antiche. Alle spalle della città fu costruita tutta una serie di fortezze a mezza costa sui rilievi dell’Aspromonte, che spesso riutilizzavano siti di fortificazioni reggine di epoca ellenistica. Il concetto, efficace, era quello di permettere la temporanea conquista di Reggio, mantenendo una impenetrabile difesa subito a monte della città, fin dalla fortezza dell’exokastron, per poi bloccare tutti gli accessi alle ricche vallate in cui si allevavano i bachi da seta.

Il sistema di fortezze, poi ridotto di numero e rivisitato dai Normanni, con la loro trasformazione in Motte per la difesa dei Conti e delle loro famiglie, odiati dalla popolazione greca reggina, secondo l’uso dei Franchi, si snodava sull’intera costa ionica reggina. Punti di forza sembrano essere stati le fortezze più vicine a Reggio, quali Calanna, Anomeri di OrtìRossa di Gallico, San Cirillo di Terreti, San Nicita, San Giovanni, ma sappiamo, da ricerche preliminari, di tutta una serie di fortificazioni nell’Aspromonte, quasi una seconda linea di difesa, spesso affidate a contingenti di Slavi o Armeni, come nel caso di Rocca Armena.

In Sicilia le cose non andarono meglio: nel 902 fu conquistata Taormina, la principale fortezza rimasta in mano imperiale nell’isola. Prendevano vigore, intanto, la pulizia etnica e l’insediamento di coloni berberi nella Sicilia conquistata. Nel 906 le chiese cristiane di Palermo cominciarono ad essere trasformate in moschee, ed in quell’anno la cronaca ci parla del martirio del monaco Argenzio. In pochi decenni venne trasformata la geografia etnica della Sicilia, con l’istallazione di almeno mezzo milione di Barberi africani, e l’esproprio delle terre in mano ai Cristiani. La florida economia siciliana fu completamente cambiata dall’arrivo di centinaia di migliaia di contadini barbari, come dimostra la fine dell’uso di monete di rame, che testimonia il ritorno al baratto nelle contrattazioni giornaliere, mentre il governo musulmano coniava con regolarità robai in oro, dal peso di un quarto della moneta aurea romea, che non erano certo utilizzati dalle popolazione: moneta per gli eserciti e per i pochi sceicchi detentori della ricchezza.

La Val Demenna, la cuspide messinese della Sicilia, si oppose con una certa forza alla penetrazione dei Berberi ed alla pulizia etnica, riuscendo ad ottenere un regime di semiautonomia ma la provincia di Reggio e l’intera Calabria si riempirono letteralmente di sfollati siciliani cristiani. Paesi come Diminniti e Paterriti denunciano ancora oggi la loro origine, con l’insediamento di gente proveniente da Demenna e Paternò. Per comprendere la situazione, basta ricordare come nel 940 ad Agrigento furono sgozzati coloro che intendevano rimanere cristiani.

La guerra continuava. Dopo la Sicilia, gli Arabi tentarono di conquistare Reggio e la Calabria, per tentare di sottomettere l’intera Italia. Nel 914/5 un esercito giunto dall’Africa effettuò grandi devastazioni in Calabria, facendo molti prigionieri da tenere come schiavi o da far riscattare a caro prezzo. Dopo averla riconquistata e razziata nel 918, i Saraceni tentavano di chiudere Reggio in una sacca: nel 922 conquistarono Oppido Mamertina; nel 923 fu la volta di Bruzzano. Per ottenere il mantenimento della pace, le città calabresi accettarono di pagare un tributo, fino alla rivolta intestina di Agrigento, che, aprendo un periodo di guerra civile tra i Saraceni, diede un momentaneo periodo di tranquillità

Nell’anno 951 l’imperatore Costantino VII inviò in Calabria un esercito al comando del patrikios Malaceno, che doveva unire le sue forze con quelle dello stratego di Calabria Pascalio. In quel mentre, il nuovo emiro fatimida di Sicilia, Al-Hasan, occupò Reggio, che era stata preventivamente abbandonata dai suoi abitanti, e si diresse verso Gerace. Nel 952 Malaceno fu sconfitto ed ucciso presso Gerace. La sconfitta venne, però, mitigata, da un intervento diplomatico dell’imperatore, che acconsentì, in cambio del ritiro dell’armata fatimida, alla costruzione di una moschea a Reggio.

Nel 956, grazie alla presenza in Calabria del grande generale Mariano Argiro, si poté concludere una pace di breve durata con i Musulmani. Sempre nel 956, intanto, una squadra navale romea, arrivata a Reggio, ordinò la distruzione della moschea.

Nel 964, l’imperatore Niceforo Foca, conscio della riacquistata potenza militare romea tentò di riconquistare la Sicilia, approfittando della reazione opposta dei Messinesi della Val Demenna all’emiro siciliano. Taormina, che era riuscita a ritornare libera, fu riconquistata dopo un duro assedio, e, come era già avvenuto, la resistenza si concentrò nella fortezza di Rometta. L’offensiva, guidata dall’eunuco Niceta, fu un completo fallimento. La flotta stessa, ormeggiata vicino a Reggio, fu vinta dai Saraceni. L’imperatore dovette accettare una pace svantaggiosa, e gli attacchi fatimidi si fecero ancora più virulenti. Nel 985 furono prese Gerace e Bovalino, e nel 987 fu conquistata addirittura Cosenza.

Come abbiamo visto, all’indomani della conquista araba di Siracusa la nuova capitale del Thema di Sicilia divenne Reggio. Anche quando tutte le fortezze romee isolane caddero in mano saracena, l’Impero si ostinò nel considerare la Sicilia non perduta definitivamente, come dimostrano i tentativi di riconquista che si protrassero fino alla metà quasi dell’XI secolo. Intorno alla metà del X secolo, però, il governo imperiale decise la creazione del Thema di Calabria, mantenedone la capitale a Reggio, affiancata, anche religiosamente, da una piazzaforte inespugnabile quale Santa Severina.

Nonostante le sconfitte, il sistema difensivo di Reggio frustrò per sempre i tentativi dei Saraceni. Partendo dalle loro postazioni fortificate, i Romei erano sempre in grado di respingere le guarnigioni lasciate dai Saraceni nelle città da loro conquistate, riprendendone il controllo.

Nell’anno 968 assistiamo ad un evento eccezionale, dovuto al tentativo di Ottone I (imperatore del Sacro Romano Impero) e dei Franchi al suo seguito di conquistare le terre imperiali romee in Italia meridionale. La vicenda si concluse con il matrimonio tra il futuro imperatore franco Ottone II e la principessa romea Teofano.

Grazie alla grande abilità diplomatica, alla ripresa delle ostilità, l’onere della difesa della Calabria fu assunto nel 982 da ‘Abû ‘al Husayn, emiro di Sicilia, che aveva proclamato la “guerra santa” contro i Franchi, e che in effetti sconfisse l’imperatore tedesco Ottone II, sceso in Calabria sulle orme del predecessore, a suo dire per difendere le terre cristiane dai Saraceni. Lo stesso Ottone II si salvò a stento, e fu portato a Rossano da una nave romea. Il successo fu duplice, perché nella battaglia, combattuta a Stilo (che, secondo i più recenti studi, dovrebbe corrispondere a Colonna sullo Stretto), avvenne una grande strage dei Saraceni e la morte dello stesso emiro.

I due avversari dell’Impero si erano vicendevolmente messi fuori gioco.

 

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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