STORIA DI REGGIO: DIONISIO IL GIOVANE, I BRUTTII E LA FONDAZIONE DI FEBEA

L’intera Magna Grecia meridionale e la metà della Sicilia, oltre che le colonie della Puglia e nell’Alto Adriatico, costituiva l’Impero che Dionisio il Vecchio era riuscito a conquistare e mantenere, pur in mezzo a mille pericoli. Secondo una tradizione, il tiranno sarebbe addirittura morto per i bagordi quando aveva appreso che una sua tragedia aveva trionfato ai concorsi teatrali ad Atene. Era il 368 a.C.: il suo posto fu preso dal figlio Dionisio il Giovane, il figlio della Locrese. Anche il nuovo tiranno mantenne alcune abitudini sfarzose prese dal padre, come girare per Siracusa su una quadriga di cavalli (attributo divino) o essere abbigliato con vesti multicolori, ma del padre non aveva ereditato la forza. L’Impero siracusano si reggeva sui mercenari, che erano un terzo dei circa 80.000 uomini che ne costituivano l’esercito, ma nessuna potenza economica al mondo sarebbe stata capace di pagarli tutti contemporaneamente. Dionisio il Vecchio aveva trovato l’espediente di remunerare i mercenari non solo in denaro sonante d’argento, ma anche con la concessione di terre o di intere città, appositamente fondate o addirittura svuotate dei propri abitanti originari. Così era avvenuto a Leontini (che, con i suoi 10.000 cittadini ex mercenari, era diventata una vera e propria caserma di Siracusa), a Taormina, a Termini Imerese, a Katana, ad Aitna, a Rhegion, a Tarsia e nelle cento e più piccole guarnigioni/stati nel territorio siculo e nell’attuale Calabria. Ad Ortigia, l’Isola ed acropoli di Siracusa, cuore della tirannide, erano stati creati alloggiamenti per ben 10.000 mercenari, guardia del corpo specialissima di Dionisio. Platone, che conosceva bene questa situazione e l’indole più profonda dei due Dionisii (che lo avevano persino venduto come schiavo!), aveva lanciato un allarme: in Sicilia non si parlava più greco, ma campano e punico, tanti erano i mercenari stranieri insediati dai tiranni siracusani e dai Cartaginesi.

Un altro modo per finanziare le guerre era di combatterne sempre di nuove: con i nuovi saccheggi si pagavano le truppe arruolate. Ogni tanto, poi, bastava un espediente finanziario, come una bella moneta di stagno, per guadagnare un altro po’ di tempo.

Così era avvenuto fino ad allora, ma non c’era più terreno per nuovi insediamenti, e bisognava pagare il soldo ai mercenari arruolati di recente. Le due guerre che, da buon padre, Dionisio aveva lasciato in eredità al figlio, furono terminate con trattati di pace non favorevoli: Dionisio il Giovane voleva divertirsi e non combattere. Ci furono, così delle rivolte di mercenari, che costrinsero il tiranno a riprendere la politica di insediamenti per pagare il dovuto. Il tiranno si trasferì, così, a Kaulonia, per sovrintendere alla progettazione di nuove colonie in Puglia, ma, proprio in quel momento, si trovò a perdere Siracusa per l’opera di pochi uomini.

Dione, un suo parente mandato in esilio che era diventato intimo amico di Platone, organizzò una piccola spedizione militare apparentemente senza speranza. Ma la fortuna, che decide le vicende dei mortali, si schierò apertamente con i Dionei, facendoli attraccare in Sicilia presso un comandante cartaginese amico personale di Dione, e facendoli fortificare in uomini e mezzi nella marcia d’avvicinamento verso Siracusa. Lo stesso Dionisio II seppe troppo tardi dell’attacco: il messo inviato da Siracusa, incontrato sulla Ionica reggina un conoscente, si era fermato a celebrare con lui un sacrificio, la carne che era avanzata, il messo la ripose nella borsa nella quale teneva anche i dispacci da Siracusa, ma un lupo, attirato dall’odore, la ghermì e se la portò via. Il messo, piuttosto che finire sotto processo in patria, preferì fare perdere le sue tracce, così che Dionisio il Giovane non fu informato dell’arrivo di Dione.

Dopo avere resistito ad Ortigia, Dionisio preferì accordarsi con Dione, lasciando Siracusa e ritirandosi a Rhegion, da dove avrebbe riorganizzato la conquista dell’isola. Era il 356 a.C.: Dionisio, fatta di Rhegion la sua nuova capitale, la rifondò con il nome di Phoibia, la città di Febo e Apollo, il dio greco del sole, in cui si rispecchiava lo stesso tiranno. Dionisio vi impiantò anche una zecca, e si preparò a combattere contro Dione, che aveva mandato a Messana la flotta da guerra, quando questi, nel 254/3 a.C., venne ucciso da un suo seguace ateniese, di nome Kallippos, che cercò di ereditarne il potere.

Seguirono anni convulsi. Callippo cercò di stabilire il suo potere in Sicilia, ma, mentre si era recato a punire la ribelle Katana, si trovò a perdere Siracusa, che nel frattempo si era ribellata. Si inaugurò, così, in Sicilia una “anarchia militare” destinata a durare un triste decennio, con i comandanti delle varie guarnigioni che si autoproclamavano indipendenti dal potere di Siracusa, anch’essa divisa tra alcuni contendenti.

Di alcuni di questi effimeri Stati ci restano solo nomi senza un preciso aggancio geografico (i Tirreni, i Silerai, i Campani), di altri conosciamo i governanti, tutti ex amici di Dione (Iketas di Leontini, Mamerkos di Katana ed Aitna, Andromachos di Taormina, etc.) di altri ancora sappiamo solo il sito e niente della loro storia (Petra, Henna, Alesa, Halontion, etc.). Callippo, nel 351 a.C., si diresse contro Febea, riuscendo a scacciare la guarnigione dionigiana, mentre lo stesso tiranno fu costretto a rifugiarsi a Locri. Dopo un poco di tempo, anche Callippo fu ucciso, con lo stesso pugnale con cui aveva trucidato Dione: Rhegion era di nuovo libera.

Il potere di Dionisio il Giovane nell’attuale Calabria non riuscì, però, a rimanere stabile, lasciando gravi conseguenze per il futuro della regione. Sempre nel 354/3 a.C. un gruppo di mercenari installati nella Calabria centro-settentrionale per combattere i Lucani si ribellarono a Dionisio, sull’esempio di ciò che stava accadendo in Sicilia. Fu l’inizio di un processo analogo a quello siciliano, ma l’anarchia venne evitata, perché i dodici capi mercenari installati dai Dionisii che si ribellarono decisero di federarsi e di formare un nuovo popolo: i Brettioi, nome che in latino divenne “Bruttii” (da leggere Brutti e non Bruzzi, come erroneamente si fa).

Dopo una guerra decennale, la sconfitta dionigiana divenne palese. Con una nuova zecca, a Locri, Dionisio coniò tutto il denaro che poteva e raccolse tutti gli uomini che erano rimasti, per tentare di tornare, di sorpresa, a Siracusa. Alla sua partenza, nel 346/5 a.C., dell’Impero di suo padre in Calabria non c’era più niente. In compenso, non era rimasto molto nemmeno di greco, tranne Rhegion, Locri, Crotone e poche altre poleis, strette nella morsa dei Bruttii.

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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