LA STORIA DI REGGIO: L’IMPRESA DI GIORGIO MANIACE

La disfatta subita nel 982 da Ottone II ad opera di Abu al Kasim, e soprattutto le rivolte contro il successore dell’emiro di Sicilia, avevano portato ad una temporanea cessazione delle azioni di razzia sulle coste italiane. Già nel 985, però, l’offensiva islamica era ripresa, con la conquista di Gerace e quella di Cosenza, le cui mura furono abbattute. Nel 994, a riprova dell’ampiezza dell’offensiva musulmana, fu conquistata Matera ed un rinnegato cristiano, alla testa dei razziatori saraceni, si stabilì nei dintorni della città lucana, com’era avvenuto a Reggio.

Nel 1006 si ebbe un’altra riprova dell’efficacia della strategia di collaborazione imperiale con le repubbliche marinare italiane, già fruttuosa in occasione della liberazione di Bari da un assedio saraceno, per merito del Doge di Venezia, due anni prima. In quell’anno l’alleanza romeo-pisana vinse una grande battaglia navale al largo di Reggio, ma tre anni dopo altre bande saracene erano presenti nella valle del Crati, arrivando nuovamente a conquistare Cosenza.

Costretti a combattere contemporaneamente contro Longobardi, Franchi ed Arabi, i Romei di Calabria avevano la fortuna di approfittare dell’estrema litigiosità intestina dei propri nemici, contrassegnati da continue dispute e lotte civili. Nel 1033 l’emiro di Sicilia ‘Ahmad ‘al ‘Akhal venne coinvolto in uno scontro con suo fratello Abu Hafs. Disperando di potere resistere alle forze del fratello, ‘al ‘Akhal decise di rivolgersi per aiuti militari all’Impero Romano. L’imperatore Michele IV comprese immediatamente la grande opportunità che veniva offerta ai Romei, che non si erano mai arresi alla prospettiva di considerare la Sicilia definitivamente perduta. Gli aiuti promessi all’emiro, al comando del catepano d’Italia, il comandante in capo di tutti i Themi imperiali in occidente, Costantino Opos, compirono delle azioni belliche in Sicilia, per poi ritornare a Reggio, portando con sé, quale splendido bottino, ben quindicimila cristiani, che erano stati liberati con la forza, o semplicemente ricevuti in seguito a riscatto.

La morte di ‘Ahmad ‘al ‘Akhal, con la confusione che portò nel campo saraceno, invogliò l’imperatore a tentare la liberazione della Sicilia. Fu, così, organizzata una grande spedizione militare, affidata al valente generale Giorgio Maniace, che si era già distinto per coraggio e capacità logistiche.

Il centro operativo della spedizione, e base di partenza della flotta di invasione, fu ovviamente Reggio, e, in quella occasione, fu riaperta temporaneamente una zecca imperiale in Calabria, probabilmente nella capitale, per permettere il pagamento del soldo giornaliero alle truppe.

Come era prassi, l’esercito che doveva supportare l’emiro di Sicilia era costituito da truppe tematiche, supportate da divisioni d’elite e da numerosi contingenti mercenari. L’utilizzo di truppe mercenarie, oltre a permettere di non perdere preziosi contribuenti/soldati, serviva anche a dotare l’esercito di tecniche militari particolari, in grado di aumentare la capacità offensiva e di disorientare il nemico. Tra tutti i soldati di ventura presenti, spiccavano i cavalieri Normanni, che si erano mostrati in grado di mettere a disposizione dell’esercito imperiale l’innovativa tecnica della “lancia in resta”. Fin dai tempi di Alessandro Magno, infatti, la cavalleria pesante aveva come arma principale una lunga lancia, ma, data l’assenza di staffe e di arcioni, il cavaliere, una volta arrivato o contatto col nemico, doveva arrestare il cavallo e cominciare a combattere, perdendo, così, la forza costituita dalla massa d’urto lanciata a velocità contro il fronte avversario. I Normanni, proprio negli anni della spedizione militare di Maniace, stavano affinando una particolare tecnica che permetteva loro, grazie alle staffe ed all’arcione, e appoggiando la lancia al collo del cavallo, di lanciarsi alla massima velocità contro la linea degli avversari, divenendo simili a dei magli contro un muro. Oltre a ciò, la feroce rozzezza di questi guerrieri vichinghi, non ancora mitigata dal contatto con popoli più civili, rendeva i Normanni formidabili combattenti, in grado di infliggere perdite pesantissime soprattutto alle masse di fanti con armatura leggera ed alla cavalleria araba, mobilissima e abile nello scoccare frecce, ma con deboli difese passive.

L’armata romea, la prima degna di questo nome fin dai tempi della guerra gotica, comprendeva anche contingenti alleati e tematici di Longobardi. Si trattava di un esercito che parlava greco, latino, franco, arabo, armeno, e finanche slavo, visto la presenza di mercenari russi.

Lo scopo della spedizione, ovviamente, era quello di riconquistare la Sicilia, e non certo quello di farsi strumentalizzare nelle dispute dinastiche dell’emirato siciliano.

La riconquista dell’isola fu molto più dura del previsto, giacché dopo due anni di feroci combattimenti, solo la metà orientale poteva dirsi effettivamente liberata. Il culmine della campagna fu rappresentato dall’ingresso trionfale di Giorgio Maniace a Siracusa, come era avvenuto a Belisario cinque secoli prima. All’inizio del 1040, a Troina, finalmente l’esercito imperiale colse una decisiva vittoria contro i Saraceni.

Ma l’invidia, , male connaturato al popolo greco, scelse proprio questo momento di trionfo per colpire. Il comandante della flotta, Stefano, che era anche cognato dell’Imperatore, calunniò il generale Maniace a corte, al punto che si decise di farlo arrestare e ricondurre a Costantinopoli.

Il suo posto fu preso da Basilio Pediadites, che si dimostrò sicuramente non all’altezza del compito, al punto che due anni di lotte furono vanificati in pochi mesi. La grande spedizione aveva fruttato all’Impero solo la temporanea riconquista di Messina, perduta peraltro nel 1042.

Per quanto riguarda la storia reggina, sappiamo che il generale Pediadites donò, in segno di devozione, alla chiesa di San Nicola di Calamizzi il suo skaramangion, il prezioso mantello da corte tessuto in seta.

Negli stessi anni va ricordato l’Arcivescovo di Reggio Nikolos, che scrisse un importante commento ai Vangeli.

 

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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