STORIA DI REGGIO: L’ARRIVO DI TIMOLEONTE

Siccome la situazione a Siracusa non accennava a tranquillizzarsi, in un rigurgito di dignità, nel 345/4 a.C., i Siracusani si rivolsero per aiuto e soccorso alla loro madrepatria, la polis di Corinto nel Peloponneso. I Corinzi non furono sordi alle richieste dei loro fratelli ed inviarono un condottiero con poche navi e non molti opliti. Si trattava di Timoleon, un uomo di straordinaria rettitudine, almeno stando alle fonti antiche, al punto che, al momento della chiamata da parte del suo governo, egli si era auto-esiliato e viveva ai margini della comunità, perché era stato costretto ad opporsi al proprio fratello fino ad ucciderlo, perché aveva aspirato alla tirannide. Timoleonte, con questi precedenti, sembrava proprio l’uomo giusto per opporsi alla superbia ed alla tracotanza dei tiranni. Accettato l’incarico s’imbarcò con il suo piccolo esercito, pronto ad una missione davvero suicida.

La fama della venuta del Corinzio era giunta alle orecchie dei Cartaginesi, che ovviamente avevano approfittato dei torbidi a Siracusa per intromettersi negli affari della Sicilia Orientale, da cui i due Dionisii, pur con tutti i loro difetti, li avevano estromessi per mezzo secolo. Per contenere questa minaccia, i Cartaginesi avevano inviato una poderosa flotta nello Stretto per impedire allo stratego di attraversarlo. Timoleonte, intanto, si avvicinava a Rhegion, che lo aveva formalmente invitato e si era stretta alleanza con lui. L’interesse dei Reggini era chiaro: i Tauriani premevano alle porte della polis e bisognava trovare un alleato potente, in grado di rintuzzare le mire dei Brutii sulle poche città greche rimaste. Notiamo come la città di Rhegion, fino a quel momento gelosa della propria indipendenza ed autonomia, e che aveva combattuto per un secolo contro i tiranni sicelioti, da allora in poi dovette orientare la sua politica estera alla ricerca di un garante militare dello status quo in Calabria, di uno Stato o di un condottiero capace di tenere sotto controllo i Brutii, che avevano imposto alla civile Magna Grecia un regime di terrore, fatto di continue incursioni, di rapine e di razzie.

Arrivato a Rhegion, Timoleonte si trovò il passo sbarrato dalla flotta cartaginese, enormemente più numerosa e forte militarmente della propria. Fu in quell’occasione che gli strateghi di Reggio offrirono al Corinzio il modo di aggirare l’ostacolo mediante uno stratagemma. Si invitò, pertanto, il popolo di Rhegion a fare da arbitro tra Timoleonte ed i Cartaginesi con un pubblico dibattito da tenersi presso il teatro della polis. Il primo a salire sul proscenio per parlare fu proprio Timoleonte, per poi lasciare la scena agli ambasciatori punici.

Dopo il loro intervento fu la volta dei dieci strateghi reggini, che decisero di parlare tutti e non lasciare ad uno di loro il compito di rappresentarli. Si era, come abbiamo detto, a teatro, e, in quell’occasione, si trattò di una vera e propria recita a soggetto. Gli oratori reggini cominciarono a dare sfoggio della loro abilità oratoria, parlando per un tempo smisurato, dando così a Timoleonte l’occasione di defilarsi e correre al porto, di imbarcarsi sulle navi e di dirigersi verso Tauromenion.

Quando i cartaginesi si accorsero del trucco era già troppo tardi, e a nulla valsero  i tentativi di intercettare le veloci navi corinzie. A noi piace pensare che questa beffa sia avvenuta là dove Diego Vitrioli e Giovanni Pascoli si incontravano per recitarsi reciprocamente poesie, là dove monsignor Francesco Gangemi aveva visto con i suoi occhi i gradoni del teatro e li descriveva vividamente a noi giovani, là dove ora c’è il parco della Rotonda, sotto la chiesa di San Paolo. Sgattaiolato da via Sant’Anna, Timoleonte, costeggiando il Calopinace, dovette raggiungere in pochi minuti il porto militare di Rhegion, posto presso Punta Calamizzi, mentre le sue navi dovevano essere ormeggiate probabilmente sul lato di scirocco del promontorio. La partenza della flotta corinzia dovette rimanere ai Punici celata dalla scena teatrale, che copriva la visuale verso l’Etna ai comandanti militari cartaginesi, le cui navi, invece, si dovevano trovare nella Pangalla, nella parte civile e commerciale dell’approdo reggino.

Le successive vicende di Timoleonte furono coronate dal successo e da uno straordinario apporto da parte della fortuna. In pochi anni, il Corinzio riuscì a recuperare Siracusa e metà della Sicilia (restaurando la democrazia e scacciando ovunque i tiranni), a vincere i Cartaginesi in un epico scontro presso il fiume Crimiso ed a frustrare il loro tentativo di conquista dell’isola. Dopo lo scontro, un gruppo di mercenari siracusani, che non avevano voluto combattere per paura ed erano stati congedati da Timoleonte, attaccarono la città di Tarsia dei Tauriani e furono da loro sterminati fino all’ultimo.

L’anarchia militare finì in Sicilia e Timoleonte dette l’avvio ad una politica di rifondazione di città (quali Gela, Agrigento, Agirio) e di insediamento di nuovi coloni provenienti dalla Grecia, con l’obiettivo di aumentare la produzione di grano e fare ripartire l’economia isolana, fiaccata da mezzo secolo di guerre. Gli anni timoleontei sono  molto pochi: arrivato nel 344 a.C., diventò cieco già nel 334 a.C. Il popolo di Siracusa lo elevò subito a rango di eroe, tributandogli sacrifici e agoni sportivi. Nel palazzo di Dionisio ad Ortigia, divenuto, come a Rhegion, un ginnasio chiamato per secoli Timoleonteion, fu posta la tomba di Timoleonte. Per la prima volta nella storia, probabilmente, a Timoleonte fu reso l’onore di una moneta con il suo ritratto subito dopo la morte.

Ritornando sul versante calabrese, la sua politica verso i Bruttii è palesata da un episodio avvenuto a Thurioi (la polis panellenica sorta sulle ceneri di Sibari). Alcuni rinforzi, provenienti da Corinto, furono lasciati di guarnigione nella città, per permettere all’intero esercito thurino di attaccare in massa i Bruttii. Al loro ritorno vittorioso, i soldati timoleontei abbandonarono la città senza avere causato torbidi odanni, per poi aprirsi la strada fino a Rhegion, sempre combattendo contro i Bruttii. Una volta sullo Stretto, i Reggini si occuparono di traghettarli in Sicilia, utilizzando tutte le barche da pesca e da trasporto di cui disponevano.

Purtroppo in Calabria i Bruttii non ricevettero da Timoleonte lo stesso trattamento dei loro commilitoni in Sicilia. Partiti anch’essi come mercenari insediati dai due Dionisii, riuscirono a ricavarsi uno spazio politico sempre maggiore, grazie anche ad un continuo afflusso di frotte di immigrati delle regioni povere della Campania. Il loro modello insediativo, basato sull’oppidum (piccolo centro con scarse fortificazioni) e non sull’asty (il centro cittadino potentemente fortificato), prevedeva l’occupazione di tutte le alture e non la costruzione di un centro politico ed amministrativo.

Anarchici ed indisciplinati per natura e per cultura, i Bruttii trovavano l’unità solo se attaccati, con la nomina di due meddikes (come i consoli romani). La touta, il loro Stato, non era concepito democraticamente, ma i nires, i maggiorenti, avevano tutto il potere, mentre il resto della popolazione doveva quasi stare al servizio dei loro capi, in pace e in guerra. Se guardiamo all’archeologia della Calabria, ci accorgiamo come, proprio dalla metà del IV sec. a.C., si cominciano a trovare tombe con cinturoni bronzei, il simbolo virile del guerriero osco, che non erano presenti nei secoli precedenti: un nuovo popolo, anzi un’accozzaglia di genti, aveva preso con la forza la terra calabrese.

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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