STORIA DI REGGIO: L’ARRIVO DEI BARBARI ED IL RAPPORTO CON L’ORIENTE

La pace goduta da Reggio dalla fine del Bellum Siculum contro Sesto Pompeo nel 36 a.C., che tanta prosperità aveva apportato alla Calabria meridionale, ebbe il suo termine con il 410, anno in cui la città fu saccheggiata dai Visigoti di Alarico, che tentarono poi inutilmente, di passare in Sicilia. Alarico, secondo le fonti, spaventato dalla statua miracoloso dei Reggini posta nel punto di traghettamento verso la Sicilia, si affrettò a risalire la penisola, utilizzando la via Popilia, per trovare la morte presso Cosenza, finendo sepolto nell’alveo del fiume Busento.

La sciagura subita da Reggio non ci è stata tramandata se non da una scarna notizia, e non siamo in grado di percepire la portata dell’evento. Ciò che sappiamo è che Reggio, all’arrivo del generale romeo Belisario, più di un secolo dopo, appare sprovvista di mura, ma non siamo in grado di comprendere quando la cinta muraria della città fu abbandonata a se stessa. Per una parte degli studiosi la stessa pax romana fu causa prima della rovina, come proverebbero i blocchi di calcare della tomba ritrovata sotto il Museo Nazionale ed attualmente sistemata in Via Marina, che sarebbero stati tratti dalle mura di cinta. Tale opinione non ci può trovare d’accordo, perché i blocchi di pietra della tomba hanno misure diverse rispetto a quelle delle mura, e sembrano tagliati intenzionalmente per la costruzione del monumento funerario.

Poco sappiamo anche della città romana, con molti rinvenimenti sporadici dovuti agli scavi dopo il terremoto del 1908 e in seguito a scavi di emergenza. Siamo a conoscenza di una villa di grandi dimensioni posta sulla via Santa Caterina, vicino alla fiumara Annunziata e di altre abitazioni e resti di pavimenti a mosaico nella città. Probabilmente il foro doveva trovarsi nei pressi dell’attuale Piazza Italia, grazie al rinvenimento di basi di monumenti onorari, tipici della piazza principale di ogni municipium, reimpiegati in  murature bizantine ma gli scavi recenti non sembrano avere confermato tale ipotesi, se non in linea ancora teorica. Al momento sembra assodata l’esistenza di un porticus sul lato meridionale della piazza, mentre ad ovest dovevano sorgere delle terme.

Sopra Piazza Castello è ancora visibile, in via Palestino, una cisterna romana, probabilmente relativa ad una casa, mentre nell’area Griso Laboccetta, tra via Aschenez e via del Torrione, sono rimaste le fondazioni di quella che sembra una domus con cortile, di cui, come al solito, si attende la pubblicazione degli scavi.

Non meglio documentate le necropoli di epoca romana, salvo eccezioni, ma sembra che sia stato rispettato il divieto di sepoltura entro il pomerio, costituito dalla cinta muraria di epoca greca. L’impressione che si ricava è, comunque, quella di una continuità di frequentazione di siti, anche al di fuori del centro abitato, come se non sia mai avvenuto un vero e proprio iato nella vita della città.

Negli ultimi anni è venuta maturando la consapevolezza del lento “slittamento” dell’abitato dalla fondazione al giorno d’oggi, segnato sempre dalla necessità di razionalizzare gli spazi in vista delle esigenze abitative e difensive. La città è stata certamente fondata sulle alture del Salvatore, facilmente difendibili, provviste di fonti d’acqua, e ben collegate con la foce del Calopinace, che costituiva il porto di Rhegion. Nell’epoca arcaica e classica, fino al 387 a.C., quando Reggio venne conquistata da Dionisio I e cancellata quale entità politica, le mura di cinta sul lato occidentale non dovettero scendere più a valle della linea di faglia, che divide attualmente la via Possidonea dalla via Reggio Campi. Essa rappresentava certamente un salto di quota facilmente fortificabile, che permetteva di circondare di mura tutte le colline del Salvatore.

Fu Dionisio I, paradossalmente, a valorizzare la parte della città che oggi chiamiamo centro storico, e che in epoca greca classica era posta al di fuori della cinta urbana. Il santuario di Demetra situato presso l’area Griso Laboccetta era un tempio extraurbano, almeno nelle sue prime fasi, ed il mercenario dionigiano che si fece seppellire con un ricco corredo nella via Palamolla, non lontano dal Corso Garibaldi, certamente non ha distrutto delle abitazioni per costruire la sua tomba, ma deve avere utilizzato terreno libero. Poco lontano da lì, probabilmente sotto l’attuale Banca d’Italia, Dionisio fece costruire il suo mirabile palazzo, una residenza dotata di un grande parco, che in seguito venne trasformato  dai Reggini in Ginnasio.

Dopo il 351 a.C., e la liberazione della polis, in una data imprecisata, ma forse legata alla ristrutturazione della città sotto il re Agatole (289 a.C.) si realizzò una neapolis, allargando la cinta muraria fino ad arrivare quasi fino al mare. Si trattava di uno spazio molto consistente, che permetteva di costruire edifici pubblici e case private. In questa zona abbiamo il Ginnasio, l’agorà, ilbouleutherion, cioè la sala di adunanza del Consiglio della città, ed in quest’area i Romani realizzarono le terme principali, almeno altre due secondarie, una basilica e portici. L’intero abitato fu razionalizzato, con la realizzazione ordinata di pozzi per l’approvvigionamento idrico ed un sistema di canalizzazioni per portare in città l’acqua potabile.

Nell’epoca tardoantica, invece, dovette cominciare, o almeno accentuarsi, la contrazione di residenti nel centro abitato, a tutto vantaggio della campagna. Cominciava un lento processo che portò Rhegion, nell’epoca bizantina, da polis a kastron, cioè a insediamento  fortificato concepito per truppe e servizi amministrativi. Nella contrazione dell’area urbanasi privilegiò la vicinanza al porto ed a Punta Calamizzi, che ne costituiva la naturale diga foranea. Per evitare le inondazioni del Calopinace, la città si appoggio a nord alla vallata del torrente di via Giulia, a occidente sfruttò le mura greche e romane, come pure a mezzogiorno, mentre a oriente furono costruite nuove mura utilizzando come punto più alto la collina dove poi sarebbe sorto il castello, per poi procedere parallelamente alle mura di via Marina.

Si trattava di un’area alquanto ristretta, ma funzionale per gli scopi prefissati. Probabilmente, per assicurare la difesa, dovette essere mantenuta una fortificazione sulla collina del Trabocchetto, e certamente in tutte le epoche un piccolo abitato si concentrò intorno alla Cresia “i Pipi”, l’antica chiesa del S.S. Salvatore, oggi intitolata alla Madonna dei Poveri, in via Vecchio Cimitero. L’edificio sacro più antico rimasto a Reggio.

Il resto della storia vede un allargamento della città ad opera dei Normanni, che crearono un vero e proprio quartiere per gli invasori e per il clero latino al loro seguito, fondando l’attuale Duomo, e costruendo altre mura nella parte meridionale della città, badando bene a mantenere in piedi quelle che li dividevano con i Reggini greci. Tra il vallone di via Giulia e la via Osanna fu realizzato un ghetto ebraico, distinto dal resto della città.

Con l’andare del tempo la città tornò gradualmente a ripopolarsi, ed i successivi ampliamenti vennero realizzati principalmente verso nord.

La storia della città antica finisce non tanto con il terremoto del 1783, quanto con il successivo progetto Mori, teso a realizzare una città di impianto illuministico, con strade parallele e che si intersecavano ad angolo retto, anche a dispetto dell’orografia di Reggio, le cui pendenze impediscono di realizzare ampie strade per non avere delle salite troppo ripide.

Al momento del terremoto del 1908 il progetto non era ancora stato realizzato, ed il resto, con la distruzione degli ultimi monumenti di pregio realizzata con la dinamite, è storia fin troppo recente.

Ma ritorniamo alla narrazione dei fatti. Dopo la divisione dell’Impero in due parti, Reggio si trovava nella metà occidentale, ma i Reggini avevano interessi e relazioni soprattutto con l’Oriente, cui la legavano rapporti millenari. Questo stato di cose ha generato una curiosa eccezione nella promulgazione delle leggi, che, per quanto volute da un imperatore, valevano ugualmente per tutte e due le partes. Di norma, ogni legge veniva promulgata in una città della parte di pertinenza, e quindi, dopo la pubblicazione, veniva recepita anche dall’altra metà dell’Impero. Fa eccezione soltanto una legge, relativa all’occupazione abusiva di edifici statali ad opera di privati, che fu voluta dall’imperatore Arcadio, regnante a Costantinopoli, ma venne promulgata a Reggio, come se la città facesse parte dell’Impero Romano d’Oriente.

Un’ulteriore conferma della particolare posizione geografica e culturale di Reggio viene anche dalla numismatica, che dimostra come, oltre che per la già citata moneta in rame, anche gli esemplari aurei maggiormente ritrovati nell’intera provincia non siano quelli battuti a Roma, Ravenna, Mediolanum, o a Ticinum (Pavia), ma i solidi coniati a Costantinopoli.

Una straordinaria conferma arriva anche dal passaggio a Scilla di San Gerolamo, diretto a Gerusalemme. Proprio a Scilla, racconta il Santo, i marinai del luogo gli sconsigliarono di prendere la rotta africana, infestata da pirati, per navigare lungo la rotta settentrionale, più sicura. Ci sembrano ben meravigliose competenze quelle dei marinai di Scilla, se non fosse per il fatto che i Reggini erano veramente di casa nel Vicino Oriente.

 

Tratto da “La storia di Reggio a fumetti” commissionato dall’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria. Testo del professore Daniele Castrizio

 

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