LA CALABRIA: CENNI STORICI

La presenza dell’uomo in Calabria fin dai primordi è provata da numerose testimonianze. Un primo documenti del periodo neandertaliano (300.000-600.00 anni fa) lo incontriamo a Scalea, in provincia di Cosenza, nella grotta di Torre Talao, dove sono state ritrovate abbondanti schegge di selce e fauna fossile. Un’altra testimonianza che vale la pena ricordare, di notevole significato artistico, si trova ancora in provincia di Cosenza, nella Grotta del Romito, nelle campagne del comune di Papasidero: si tratta di un elegante graffito raffigurante due bovidi, risalente con buona approssimazione al Paleolitico Superiore (120.000-9.000 anni fa).

Abbondanti testimonianze che riguardano il Neolitico (30.000-40.000 anni fa) le ritroviamo a Girifalco, in provincia di Catanzaro: grotte abitate e tombe a cassetta di lastroni.

La civiltà del ferro trova riscontri sia presso la necropoli di Torre Galli, tra Vibo Valentia e Tropea.

Il periodo protostorico (sec. X a.C.) trova notevole esempio nei reperti provenienti da Calanna (vicino Reggio Calabria) ora custoditi nel Museo Nazionale di Reggio Calabria.

Qualcuno sostiene che la Calabria sia entrata nella storia del mondo con l’arrivo dei primi coloni greci (sec. VIII a.C.). In effetti la fondazione di Locri, Crotone, Sibari, Reggio, Caulonia e di tante altre colonie minori anche sulla costa tirrenica, segnò il fiorire di una grande civiltà i cui livelli sono facilmente intuibili dall’osservazione dei notevoli reperti che si conservano su tutto il territorio in vari musei, specie in quello archeologico di Reggio Calabria.

La civiltà magnogreca ebbe il massimo sviluppo intorno al terzo secolo a.C. ed espresse uomini conosciuti nel mondo di allora come Pitagora, Milone, Zeleuco, Nosside, Timeo, Ibico ed altri.

La dominazione romana non ha lasciato grandi segni della sua presenza. Fu costruita la via Capua-Reggio (132 a.C.) e si cercò di rendere agevole l’attraversamento viario della Calabria verso la Sicilia. Roma non mirò a romanizzare gli indigeni né a controllare militarmente tutto il territorio della regione. Ricordano la denominazione romana, alcune città come Rhegium e Scolacium, necropoli, molti resti di ville lungo la costa, un teatro a Gioiosa Jonica e molti reperti sparsi nei musei.

Durante la decadenza dell’Impero romano si registra in Calabria la luminosa esperienza di Flavio Aurelio Cassiodoro (ca. 490-583 ca.); strettissimo collaboratore di Teodorico, il quale cercò di promuovere la fusione tra Romani e barbari e fondò nei pressi di Squillace il Vivariense, un centro di studio e di ricerche.

I Bizantini (535) finiranno per lasciare tracce profonde nella cultura calabrese tanto da ricostruire, in un ambiente naturalmente predisposto, specie lungo la costa jonica calabrese, un suggestivo angolo d’oriente. Questo periodo registrerà la rinascita di importanti centri come Rossano, Santa Severina, Stilo, Gerace, dove ancora oggi si custodiscono veri e propri tesori d’arte e suggestive architetture.

Fin dai secoli VI e VII era iniziato, verso la Calabria il movimento migratorio dei cosiddetti Basiliani, monaci provenienti dall’Asia Minore, cacciati dalla pressione islamica. Questo movimento divenne ancora più massiccio nel X secolo dalla Sicilia, quando i Musulmani invasero l’isola.
I Basiliani hanno il merito di aver salvato dalla distruzione codici, immagini sacre, opere d’arte e di avere conservato la tradizione greco-bizantina. Spesso essi vivevano in grotte e abituri nascosti, infatti dovettero vedersela anche in Calabria con i Musulmani i quali, pur non occupando stabilmente la regione, per circa otto secoli, fino al secolo ottavo, infestarono ogni contrada con improvvise e sanguinose scorrerie. La presenza turchesca finirà per condizionare pesantemente la politica degli insediamenti umani e ogni riflesso della vita dei Calabresi. La tradizione popolare, infatti, fa proprio il tema dell’invasore musulmano ricordandone spesso la crudeltà.

L’anno 1049 segna l’inizio della presenza normanna. Si verificò un vero e proprio capovolgimento della filosofia della vita, con il passaggio dalla tradizione greca a quella latina, fu un vero e proprio “genocidio” di una civiltà. Sul piano amministrativo si registra una riorganizzazione del territorio e un efficace collegamento tra di esso e l’autorità centrale.

È l’inizio di un feudalesimo calabrese che continuerà con gli Angioini con ancor più esasperanti forme di accaparramento del potere da parte dei baroni. Mentre in Europa si delineano gli stati delle grandi monarchie assolute, in Calabria si verifica lo sbriciolamento di quello stato unitario che Federico II aveva abbozzato.

Il dominio aragonese inizia con la conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso d’Aragona (1442) e si caratterizza per le lotte intestine che si scatenano ora tra i baroni, ora tra gli Aragonesi e gli Angioini.
Da questo infausto panorama, probabilmente ha origine la problematica meridionalista: il frazionamento del potere tra tanti baroni avidi e l’incapacità del potere centrale di affermarsi rendendo vana ogni speranza di vedere nascere una coscienza di classe tra il popolo e accresceranno sempre più la distanza tra lo stato centrale e i Calabresi.

Il dominio napoletano tollerato dalla popolazione che preferisce la tirannia di un sovrano a quella più insistente dei baroni locali, sembra destinato a durare a lungo, se pur responsabile dell’abbandono e della decadenza della regione; non si può però dimenticare che proprio allo stato napoletano si debbono alcune importanti iniziative industriali nel settore della siderurgia, a Mongiana, e dell’industria tessile, su tutto il territorio regionale.

Il terremoto del 1783 e l’impegno profuso nei progetti di ricostruzione dei centri abitati dagli ingegneri di mezza Europa, attirarono sulla Calabria l’attenzione del mondo; ma la gloriosa epoca di splendore civile legata alla Magna Grecia e a Cassiodoro è un lontanissimo ricordo. Quando pare che tutto debba restare così, in un immobilismo senza speranza, giunge anche qui l’eco del 1848 e con essa l’idea del Risorgimento italiano.
La Carboneria si diffonde ovunque, centinaia sono i patrioti. L’idea unitaria però risulterà deludente per i Calabresi non appena inizieranno le ostilità tra l’esercito piemontese e i resistenti, spesso considerati “briganti”. Poi si registrerà un lungo abbandono da parte dello Stato italiano fino agli anni cinquanta quando, con la Cassa del Mezzogiorno, viene formulata per la prima volta una politica di sviluppo per la regione, i cui risultati si riveleranno però assai inconsistenti nei decenni successivi.
La costruzione, tra il 1960 e il 1970 dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria risulterà decisiva per l’unità della regione, collegando rapidamente Cosenza, Reggio e Catanzaro, alcune aree interne e la Calabria al resto del paese; e sarà anche decisiva la nascita dell’Università della Calabria a Cosenza e della Facoltà di Architettura a Reggio, al fatto più importante, l’avvio dell’attività politica e amministrativa dell’Ente Regione. Questi eventi saranno funestati dalla Rivolta di Reggio, scoppiata a seguito dell’assegnazione del capoluogo a Catanzaro, ma in effetti per ben più concrete e antiche cause riguardanti del resto tutti i Calabresi: la disoccupazione e quindi la mancanza di prospettive per il futuro. I morti e l’intervento dell’esercito sanciranno in quei giorni il fallimento dell’azione politica dei partiti.