IL BENEFICIO DI SAN LEONE E LA STORIA DELLA CHIESA DI SANT’ELIA DI RAVAGNESE [parte seconda]

Con un’attenta ricerca, il professore Carmelo Cutrupi riesuma la storia della piccola chiesa di Sant’Elia di Ravagnese, dalla fondazione nel secondo Settecento.

[parte prima]   [parte terza]

 

STORIA

Purtroppo non esistono altri documenti oltre l’atto notarile della fondazione della chiesa, è quindi impossibile ricostruire la storia della cappella nel corso dell’Ottocento, mentre per quel che riguarda il ventesimo secolo è possibile avere delle notizie più precise e puntuali dalla testimonianza diretta delle persone più anziane.

In ogni modo una lapide risalente al 1859, attestante la tumulazione del nobile Giovanni Laboccetta, testimonia come la cappella nel corso del Diciannovesimo secolo è tenuta in grande considerazione dalla nobile famiglia reggina, che tanti anni dopo l’editto di Saint Clouud, continua a seppellire i propri cari nella cappella di famiglia piuttosto che nel cimitero.

Innanzi tutto, la chiesa che per volontà del fondatore doveva essere intitolata a San Leone di Bova, all’inizio del Novecento è conosciuta come chiesa di Sant’Elia, come la stessa contrada, che ancora nel 1776 aveva il nome Carrone e registrata negli atti di compravendita con il toponimo di contrada Sant’Elia.

I conti Laboccetta, infatti, hanno abbellito la chiesa con due splendide tele di famiglia, di autore ignoto, risalenti all’inizio del Settecento.

Sull’altare maggiore è collocato un grande dipinto rappresentante l’Immacolata Concezione, illuminata dalla luce dello Spirito Santo sotto forma di colomba e circondata da alcuni angeli mentre schiaccia la testa al serpente che sta addentando la mela.

Ai lati della Vergine che occupa il vertice di un immaginario triangolo sono raffigurati, a mezzo busto, due santi reggini, appartenenti all’ordine di San Basilio.

A destra dell’Immacolata è effigiato Sant’Elia abate, vissuto tra l’864 ed il 960 appartenente alla famiglia Laboccetta. Il santo è rappresentato con le sembianze di un vecchio venerabile, dalla barba fluente e canuta. Con la mano destra egli tiene aperto il Vangelo, mentre con la sinistra impugna una catena con la quale tiene imprigionato il demonio che tenta invano di ghermirlo con i suoi artigli, mentre appoggiato all’omero sinistro Sant’Elia tiene il pastorale, segno della sua potestà di abate.

A sinistra della vergine è raffigurato San Leone di Bova, secondo i segni iconografici ricorrenti del santo. Infatti appare come un giovane uomo dalla corta barba bruna, che impugna l’accetta e la pece che, come vuole la tradizione, il santo trasformava in pane per sfamare i poveri di Africo e Bova che ricorrevano a lui.

Alla fine degli anni Settanta (del secolo scorso), grazie ad una colletta pubblica, il quadro è stato restaurato dal professor Vacalis, docente presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma. E’ stato così possibile scoprire che la tela è racchiusa in una doppia cornice, una delle quali è in argento massiccio.

Il toponimo Sant’Elia è quindi derivato dal santo raffigurato nella tela; ciò è stato possibile anche perché in dialetto il nome Leo  si può corrompere facilmente con Lia, dunque probabilmente è avvenuto un’assimilazione tra i due santi.

L’altra tela raffigura il titolare del beneficio, San Leone, non a mezzo busto ma per intero. Di lato al santo appare un angelo che sorregge una pergamena, che riporta in latino il nome del santo onorato dalla chiesa di Reggio e di Bova. Oltre l’indubbio valore artistico la tela è un ulteriore conferma del legame della chiesa reggina con quella bovese. Infatti per investitura degli imperatori appartenenti alla famiglia degli Hoenstaufen, l’Arcivescovo di Reggio era anche conte di Bova.

Oggi il quadro non è più custodito nella chiesa di Sant’Elia a Ravagnese ma fa bella mostra di sé nella segreteria del Vescovo. Infatti l’Arcivescovo Ferro recandosi in visita pastorale alla fine degli anni cinquanta, trovò il quadro in sacrestia in pessime condizioni. Ritornato nella cappella portò via con sé la tela con la promessa di un restauro, ma da allora essa non ha fatto più ritorno nella sua chiesa.

Ma come si spiega che una cappella così nobile e ricca abbia perso, pregio e ricchezza  nel corso dell’ultimo secolo? Innanzi tutto dobbiamo dire che la cappellania alla fine dell’Ottocento è affidata dai conti Laboccetta, ai francescani riformati di Sbarre. I frati forse traendo ispirazione dall’Effige della Vergine Immacolata, raffigurata nel quadro, si prodigano per la diffusione del culto.

Si affievolisce così, fino a scomparire, il culto verso Sant’Elia e San Leone mentre la devozione della Vergine è tale che si sente l’esigenza nel 1904 dell’acquisto di una statua raffigurante l’Immacolata.

Nello stesso anno viene costruito il ponte sul torrente che scorre ad Arangea e, nella sua prossimità viene innalzata una piccola edicola, sempre dedicata all’Immacolata Concezione di Maria Santissima, sacello che è ancora visibile.

A proposito dell’Effige della Vergine, dobbiamo dire che non si tratta né di una statua in legno né in marmo ma di un’opera realizzata in più materiali, con gli arti e il viso in cartapesta, il corpo in legno di arancio amaro e la veste di stoffa.

Al di là del materiale di cui è composto il simulacro, talmente dolci sono le fattezze del viso della Vergine, che non si osa sostituire la statua con un’altra di materiale più pregiato.

Il 28 dicembre 1908 un terribile sisma si abbatte su Reggio e Messina, con le devastazioni che tutti conosciamo. Anche la chiesa di Sant’Elia subisce gravissimi danni e deve essere ricostruita. Non si aspettano però, e questo si rivelerà poi un grosso errore, i contributi governativi con cui saranno ricostruite,ma solo molti anni dopo, le altre chiese danneggiate dal sisma. I coloni della zona coordinati, se così si può dire, dal signor Antonio Marino, procedono ad una repentina ricostruzione, vendendo con il consenso della famiglia Laboccetta i terreni di cui il beneficio era stato dotato. I soldi però non sono sufficienti, anche perché si procede all’erezione di un campanile spropositato rispetto alla mole della chiesa, il tetto poi appare assolutamente inidoneo. Comunque la chiesa di Sant’Elia risorge in muratura molti decenni prima di altri edifici cittadini.  Arriva la seconda guerra mondiale, i piani di Maldariti diventano il luogo ideale per l’accampamento tedesco. La contrada più volte bombardata paga il suo contributo di sangue e più di una persona muore nell’asilo accanto alla chiesa. La guerra, l’umidità e l’incuria cominciano a danneggiare seriamente la piccola cappella.

Nel 1952 nasce la parrocchia di Ravagnese. La chiesa di Sant’Elia sembra destinata a morire, ormai c’è una struttura parrocchiale vicina, … troppo vicina. Sono gli anni in cui il quadro di San Leone viene portato in Curia per un “restauro” e per lunghi anni non viene più celebrata la festa in onore dell’Immacolata Concezione. In verità alla fine degli anni Cinquanta la chiesa conosce un’opera di manutenzione straordinaria, grazie al signor Demetrio Moscato e poi del signor Francesco Praticò, che riesce a fornire la chiesa di un portone in legno con la generosa offerta di alcuni parenti residenti in America.

 

[Tratto dalla rivista “CALABRIA SCONOSCIUTA” (gen – mar 2002).

Un ringraziamento al professore Carmelo Cutrupi per la gentile concessione.] [foto di Francesco Tripepi] [parte prima]   [parte terza]