L’INFLUENZA DELL’ARABO NEL DIALETTO CALABRESE

L’influenza dell’arabo nel dialetto calabrese è documentata sin dal medio evo. Non bisogna infatti pensare ai saraceni ed ai turchi solo come invasori ma anche come abili mercanti ed eruditi studiosi da cui medici e studiosi calabresi ed europei hanno imparato molto.

In quanti tra i nostri lettori più grandi, non hanno provato il ristoro estivo di un bagno nella gebbia del proprio giardino? Quasi tutti, ma in pochi ne conosceranno l’etimologia.

Gebbia deriva dal termine arabo gabya, ossia vasca in muratura per la raccolta dell’acqua. Vi sono altri termini orbitanti sempre intorno al concetto dell’acqua, come caraffa ad esempio, il quale deriva da garraffa, bottiglia panciuta, una misura impiegata per i liquidi ed equivalente ad un quarto di litro.

Quindi, dopo tutto, le sciarre (dall’arabo sciar ossia rissa) tra reggini e saraceni non furono ambatula (da a batil, tradotto è “inutili”), portarono ad un notevole arricchimento, sia del lessico calabrese che dei loro magazzini (mahazin non credo bisogni di traduzione, è il plurale del vocabolo merci, dunque mahazan).

 

Tratto da “Il Bollettino Archeologico di Motta Sant’Agata” n° 3 (2012) a cura di Francesco Ventura

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