I QUARTIERI DI REGGIO: TERRETI E L’ABBAZIA DI SANTA MARIA

Sulle colline preaspromontane, dopo aver percorso circa 8 chilometri sulla strada che dal centro cittadino porta a Gambarie, a 600 metri di altitudine dal livello del mare, incontriamo il tranquillo rione di Terreti.

L’origine del suo toponimo non è certo, si ipotizza che possa derivare dal plurale del termine “terreto”, costituito da terra (vocabolo usato per indicare del terreno coltivabile) ed“etum” (suffisso latino ad indicare collettività), da qui Terretum a indicare appezzamenti di terreno coltivati in quell’area. Altra ipotesi è quella di una derivazione dall’aggettivo latino “teres-terĕtis ” con significato di “smussato” forse a indicare una zona ventosa priva di vegetazione. L’ultima ipotesi, forse la più probabile, potrebbe essere una variante dialettale ad indicare in modo generico “terreni”.

Il clima è di tipo appenninico con inverni freddi (con temperature vicine allo “0” e  a volte con nevicate anche abbondanti) ed estati calde con una temperatura massima che raggiunge anche i 35°C.

Nei pressi dell’attuale centro abitato di Terreti, sul monte Gonì, sorgeva Motta San Cirillo (o Motta San Quirillo), un piccolo centro abitato fortificato il cui nome derivava dell’eremita di origini greche che stazionava presso le grotte di quella zona e che in quel tempo si chiamava “Santa Penitenza”. San Cirillo fu vescovo della città di Reggio Calabria dal 710 al 740 indirizzando i suoi fedeli dall’obbedienza romana a quella costantinopolitana.  A cavallo del XIV e del XV secolo, nell’ambito della guerre fra Angioini ed Aragonesi, Motta San Cirillo, insieme alle altre motte, si schierò con gli Angioini, in contrapposizione con gli aragonesi di Reggio. Nel 1422 i reggini attaccarono Motta San Cirillo distruggendola e uccidendo i suoi abitanti.  Dopo tale disfatta, gli abitanti sopravvissuti fondarono l’attuale centro abitato di Terreti.

In epoca bizantina in questo luogo fu edificata l’Abbazia di Santa Maria di Terreti dedicata allaVergine Theotòkos. La chiesa, orientata da est verso ovest,  era una costruzione piuttosto complessa, lunga circa 23 metri e larga circa 11 a tre navate, con una copertura a volte semicilindriche su pilastri, cupola semisferica schiacciata alla sommità a conclusione della navata centrale sostenuta da quattro archi a sesto acuto, abside centrale a volta semisferica, absidi laterali con volte semicilindriche, il pavimento davanti all’altare maggiore era impreziosito da un mosaico.

Fu ricostruita  da Ruggero II nel 1103 e nel corso dei secoli fu ripetutamente danneggiata da vari sismi che caratterizzano questo territorio.  Particolarmente distruttivi furono quelli del1783 e del dicembre 1908.  Nel 1915 le autorità la demolirono definitivamente tramite cariche di dinamite. Di essa rimangono alcuni ruderi, nonché parti di pavimento a mosaico e colonne, riposizionati presso la Chiesa degli Ottimati  nei pressi del castello Aragonese.

In un’apposita sala nel Victoria & Albert Museum di Londra sono esposte quattro colonne lignee con la scritta sul cartello indicativo “Provenienza: Calabria (Italy), chiesa di Santa Maria in Terreti”.

Da contatti avuti dal professore Francesco Arillotta con la direzione del museo londinese, lo storico reggino è riuscito ad avere informazioni dettagliate su quei reperti e di come siano finiti oltre Manica. Dalla documentazione si evince che le quattro colonne esposte, ricavate da tronchi di alberi di noce, sono monolitiche e sono state acquistate da mister E. N. Rolfe, un incaricato del museo, a Napoli presso l’antiquario Gaetano Pepe, nel 1886, con una spesa complessiva di circa 207 sterline, e da qui inviate a Londra.