LA LIQUILCHIMICA DI SALINE JONICHE, UN PO’ DI STORIA

La ex Liquichimica Biosintesi è un gruppo di insediamenti industriali che sorgono a ridosso della Strada Statale Jonica 106 a Saline Joniche, frazione costiera del comune di Montebello Jonico nella città metropolitana di Reggio Calabria. Il  complesso industriale include al suo interno il porto di Saline Joniche e l’Oasi naturale del Pantano di Saline Joniche.

L’ecomostro della Liquichimica Biosintesi è una cattedrale nel deserto realizzata negli anni ’70 con i fondi stanziati con il cosiddetto “Pacchetto Colombo”. 1300 miliardi delle vecchie lire inondarono Reggio e provincia che dovevano servire allo sviluppo industriale di una delle province più depresse d’Italia e per placare i moti di Reggio scoppiati per avere la città dello stretto capoluogo di Regione e non la prescelta Catanzaro. Un vero e proprio risarcimento da parte di uno Stato assistenziale per quello che, prima, non è stato dato a Reggio Calabria.

L’orientamento produttivo fu indirizzato alla produzione di bioproteine, proteine  ottenute da colture di microrganismi su derivati del petrolio, da utilizzare come mangimi. L’impianto fu costruito in un’area di settecentomila metri quadri dove sorgeva una salina in disuso (prosciugata e bonificata) e una vastissima zona verde adibita, tra l’altro, alla produzione di bergamotto. Un pezzo di costa di 2000 metri venne praticamente sventrato. La sua realizzazione richiese due anni di tempo e fu completata nel 1974. Viene edificato tutto: porto, fabbrica, vasche, silos per l’acido citrico e una torre di 174 metri di altezza, che svetta tutt’ora sulla zona.

Vengono assunti circa 750 lavoratori ma dopo solo  pochi giorni di attività e dopo avere speso un fiume di denaro, il Ministero della Sanità certifica che i mangini prodotti erano cancerogeni con conseguente chiusura dell’impianto e messa i cassa integrazione di tutti i dipendenti.  Nel 1977 si ha il definitivo fallimento, nessun lavoratore verrà più richiamato, molti di loro arrivano alla pensione senza aver mai lavorato grazie agli ammortizzatori sociali.

Nel 1999 la Enichem, a cui era stato venduto l’impianto, lo vende a sua volta, a cifre irrisorie, alla SIPI (Saline Ioniche Progetto Integrato), un consorzio di privati che avviò un programma di recupero e rottamazione del ferro e dell’acciaio dell’impianto, ma senza garantire una completa riqualificazione.

Nel 2006 ‘Progetto Sei’, cartello di aziende con a capo la multinazionale svizzera Repower, acquisisce l’intera area con l’obiettivo di costruire un’ipotetica centrale a carbone.

Le resistenze delle istituzioni, della popolazione e delle associazioni ambientaliste blocca quest’ultimo progetto anch’esso notevolmente dannoso ed inquinante. Oggi il “mostro di cemento” è sempre lì con il suo degrado ed i suoi rifiuti ad evidenziare il fallimento dello Stato.

Della Liquilchimica di Saline una cosa è certa, lo Stato Italiano ha versato circa 1300 miliardi delle vecchie lire e chi ha beneficiato di quei soldi è palese, basta consultare le cronache giudiziarie.