Ago 26 2017
RISCHIO VULCANICO IN ITALIA
Il vulcanismo in Italia deve la sua origine ad un ampio processo geologico che ha interessato tutta l’area mediterranea, legato alla convergenza tra la placca tettonica eurasiatica e quella africana.
Il processo, iniziato 10 milioni di anni fa, contemporaneamente alla costruzione dei rilievi montuosi della catena appenninica, è dovuto allo scorrimento della placca africana sotto quella euroasiatica e alla conseguente formazione di aree caratterizzate da vulcanismo. È infatti in queste aree che, all’interno della terra, si realizzano le condizioni per la formazione dei magmi e per il loro trasporto verso la superficie.
L’Italia, insieme all’Islanda, presenta la maggiore concentrazione di vulcani attivi in Europa ed è uno dei primi al mondo per numero di abitanti esposti a rischio vulcanico.
Descrizione del rischio vulcanico
Sebbene meno frequenti e devastanti dei terremoti, le eruzioni vulcaniche rappresentano un forte rischio per le zone densamente popolate del territorio italiano.
Il rischio vulcanico si può definire come il prodotto della probabilità di occorrenza di un evento eruttivo per il danno che ne potrebbe conseguire.
Il rischio è traducibile nell’equazione R = P x V x E, dove:
P = Pericolosità (Hazard): è la probabilità che un fenomeno di determinata intensità si verifichi in un certo intervallo di tempo e in una data area;
V = Vulnerabilità: la vulnerabilità di un elemento – persone, edifici, infrastrutture, attività economiche – è la propensione a subire danneggiamenti in conseguenza delle sollecitazioni indotte da un evento di una certa intensità;
E = Esposizione o Valore esposto: è il numero di unità, o “valore”, di ognuno degli elementi a rischio, come vite umane o case, presenti in una data area.
In generale la Vulnerabilità delle persone e degli edifici risulta sempre elevata quando si tratta di fenomenologie vulcaniche. Il rischio è minimo solo quando lo sono anche la Pericolosità o il Valore esposto. E’ il caso di vulcani “estinti”; vulcani che presentano fenomenologie a pericolosità limitata; oppure di vulcani che si trovano in zone non abitate.
Quanto maggiore è la probabilità di eruzione, tanto maggiore è il rischio. A parità di Pericolosità invece il rischio aumenta con l’aumentare dell’urbanizzazione dell’area circostante il vulcano. Per fare un esempio, il rischio è più elevato per il Vesuvio, nei cui dintorni vivono circa 600 mila persone, piuttosto che per i vulcani dell’Alaska, che si trovano in zone a bassa densità di popolazione.
In Italia, i vulcani che hanno dato eruzioni negli ultimi anni sono l’Etna e lo Stromboli. Il primo si trova sulla costa orientale della Sicilia mentre il secondo fa parte dell’arcipelago delle isole Eolie.
Tra i rischi di protezione civile, quello vulcanico viene spesso considerato un rischio “prevedibile” perché si ritiene possano essere riconosciuti e misurati i fenomeni che pre-annunciano la risalita del magma verso la superficie, per questo detti “precursori” (terremoti, fratturazioni del terreno, deformazioni dell’edificio vulcanico, variazioni nell’emissione dei gas e delle temperature dei fluidi, ecc.). Si tratta però di una semplificazione che non tiene conto della complessità e dell’estrema variabilità delle fenomenologie vulcaniche e della difficoltà a valutarle e interpretarle.
E’ infatti più appropriato considerare i fenomeni precursori solo come indicatori di un processo in atto che se opportunamente e adeguatamente studiati, analizzati e monitorati, possono dare un’idea dello stato di attività del vulcano e delle sue possibili evoluzioni, consentendo di individuare eventuali anomalie. Per questo motivo, alcuni di questi parametri, vengono misurati attraverso reti di stazioni installate sui vulcani attivi e osservati con differenti metodologie, ad esempio, da satellite o con sorvoli o, più semplicemente, con sopralluoghi diretti sul campo.
Tuttavia, anche se questi fenomeni vengono studiati e monitorati puntualmente, non è possibile prevedere con certezza, anche per le peculiarità che caratterizzano ogni vulcano, quando e come potrà avvenire un’eruzione vulcanica. Allo stato attuale delle conoscenze, non è infatti ipotizzabile alcuna forma di previsione deterministica.
Alcune importanti informazioni rispetto al comportamento di un vulcano si possono trarre però dall’analisi accurata e approfondita della sua storia eruttiva. In questo senso, è possibile fare valutazioni di pericolosità in termini probabilistici, per capire che “tipo” di eruzione si verificherà, i possibili scenari e le aree che saranno eventualmente interessate dagli effetti dell’attività vulcanica. Queste valutazioni sono la base per individuare lo scenario di riferimento di un’eruzione futura e la perimetrazione delle aree potenzialmente soggette a fenomeni pericolosi, utilizzate nelle pianificazioni di emergenza (ad es. zona rossa e zona gialla del Vesuvio e dei Campi Flegrei).
Tuttavia, è bene ricordare che le previsioni di tipo probabilistico, non sono sempre possibili e non per ogni tipologia di fenomeno. Inoltre, queste previsioni sono fortemente condizionate dalla disponibilità di adeguate e numerose serie storiche di osservazioni collegabili all’effettivo verificarsi di eventi. Applicazioni di tipo probabilistico sono possibili solo per alcune fenomenologie che caratterizzano i vulcani attivi in forma permanente, ad esempio l’Etna e lo Stromboli, per i quali, si stanno sperimentando sistemi finalizzati all’individuazione “precoce”, nella loro fase iniziale, di eventi esplosivi di elevata intensità.
Riassumendo, la valutazione dello stato di attività di un vulcano e della sua possibile evoluzione, consiste in un complesso processo che si basa su:
– monitoraggio puntuale e costante dei parametri fisici e chimici e delle fenomenologie caratteristiche del vulcano;
– rilevamento tempestivo e comunicazione immediata di anomalie dei parametri o di eventi significativi che indicano un processo in atto;
– analisi della situazione in atto, in raffronto alla storia eruttiva, anche mediante la consultazione di esperti nell’ambito della comunità scientifica di settore.
Tutte queste informazioni consentono alle strutture di protezione civile sia locali sia nazionali di elaborare le valutazioni di rischio di competenza e di attivare le eventuali misure di allertamento e di risposta operativa.
Il soggetto istituzionalmente preposto all’attività di monitoraggio e sorveglianza dei vulcani italiani è l’INGV-Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. In particolare, i vulcani dell’area campana sono monitorati dall’Osservatorio Vesuviano presso la sezione dell’Ingv di Napoli. I vulcani dell’area siciliana sono monitorati dalla Sezione dell’Ingv di Catania–Osservatorio Etneo. All’attività di monitoraggio dei parametri dell’attività vulcanica concorrono anche altre sezioni dell’Ingv (ad esempio, quella di Palermo) nonché da Università e altri Istituti di ricerca.
A supporto della valutazioni di rischio di competenza del Servizio nazionale della protezione civile opera la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei Grandi Rischi, massimo organo di consulenza scientifica del Dipartimento della protezione civile, attraverso una propria sezione dedicata al rischio Vulcanico, composta da alcuni dei maggiori esperti vulcanologi a livello nazionale.
[Tratto dal sito istituzionale della Protezione Civile]
Vedi anche: I VULCANI IN ITALIA