LEGGENDE DI CALABRIA: IL CASTELLO DI ATI’ E LA DAMA VELATA

Se guardiamo l’Aspromonte dalle sponde orientali del mar Jonio dove le alte cime del massiccio degradano frastagliate verso Capo Spartivento possiamo notare fra la boscaglia, al di sopra della fiumara Bonamico, uno sperone roccioso attorniato dalle rovine di un castello, qualche trancio di muro e l’arco che guarda verso oriente di quella che era la porta principale: è il castello di Atì. Come abbiano potuto edificarlo tra quelle cime ventose non si riesce a capire, il luogo è selvaggio e inospitale dove la roccia sprofonda a picco fino al greto del torrente in una valle che chiamano la valle di Bottigliera e i ruderi del castello quasi si confondono con la folta vegetazione. Questo castello ha una storia che ha dato adito ad una leggenda.

Si racconta che un tempo esisteva la città di Potamia,ora distrutta, dove viveva un nobile signore, un conte altero, superbo e insolente che con i suoi modi di fare ostili e villani si era creato un gran numero di nemici. Il suo comportamento creava frizioni e contrasti anche con i suoi pari spesso sfidati a duellare con lui per piccole offese o futili motivi.

Prevedendo che le sue continue liti prima o poi lo avrebbero messo in contrapposizione con il resto della società, si fece costruire un castello su quella cima inaccessibile. Quel giorno arrivò. In una delle tante liti uccise un uomo e, per sfuggire all’ira e alla probabile vendetta dei familiari della vittima, si rinchiuse nel castello in compagnia della sua figliuola e di un paggio. La figlia del conte si chiamava Atì era molto bella e, all’opposto del padre, il suo carattere era mite e dolce; il paggio era anche lui un bel giovane, poeta e menestrello rallegrava la volontaria prigionia del conte e della fanciulla raccontando antiche storie e suonando il suo liuto.

Il castello, una volta alzato il ponte levatoio, era impenetrabile protetto dai profondi burroni dove le rocce sprofondavano lungo i suoi fianchi. All’interno una cisterna raccoglieva l’acqua piovana  e nella torre maggiore un mulino a vento macinava il grano custodito in enormi depositi.

Con queste condizioni nulla mancava alle quotidiane necessità dei castellani. Il conte era tranquillo e sicuro della sua fortezza inespugnabile, non si preoccupava più delle minacce dei nemici anzi se ne rideva vedendoli nella vicina boscaglia armati, a cercare di spiarlo e qualche volta urlavano o lanciavano qualche dardo contro le mura. La ragazza trascorreva le giornate leggendo, ricamando, ascoltando i suoni della natura circostante, ammirava il volo degli uccelli e quando la malinconia l’assaliva, chiamava il paggio e lo invitava a cantare le sue canzoni.
Fu così, fra la solitudine e la poesia di quei canti, che la ragazza e il paggio si innamorarono. Era un affetto puro e delicato, un affetto che non osavano manifestare al conte orgoglioso del suo nome e della sua nobiltà che mai avrebbe accettato questo amore e mai avrebbe acconsentito alle nozze.

I nemici del conte, che gironzolavano sempre tra la fitta boscaglia nei pressi del castello, udivano le appassionate musiche del liuto che il giovane dedicava alla bella Alì, notarono i lumi accesi fino a tarda notte capendo così quello che stava accadendo fra i due giovani decidendo così di inviare un messaggio al paggio. Un giorno vedendolo solitario vicino alle mura colsero l’occasione per lanciare, attraverso una pusterla, una carta arrotolata che il giovane raccolse e lesse: “Sappiamo che ami la figlia del conte e lei ricambia il tuo amore. Il conte mai accetterà questo e voi due potrete essere felici solo quando lui sparirà; finché egli sarà in vita nessuna speranza per la vostra futura felicità. Noi ti proponiamo un patto: abbassa il ponte levatoio una di queste notti, noi prenderemo il conte e lasceremo liberi te e la giovane contessa che potrai finalmente sposare.”

Il giovane paggio aveva nobili sentimenti e non si prestò alla trama nemica ma ogni giorno che passava il suo proposito di resistere alla tentazione del tradimento perdeva terreno,  innamorato più che mai, ogni notte il suo cuore era tormentato da mille dubbi.

Ma un giorno che la bella Atì era più dolce e affabile del solito e il conte più arcigno e cupo, decise di stringere i patti col nemico compiendo il tradimento dando nelle mani l’uomo che egli riteneva essere il solo ostacolo alla sua felicità. Si chiuse nella sua stanza e compose una ballata religiosa con soggetto il tradimento di Giuda, fece giungere ai nemici il messaggio che nella notte del venerdì successivo, nell’ora in cui tutti dormivano, egli, con il liuto, avrebbe cantato i versi:E disse Cristo agli Apostoli suoi, quando volete entrare sta solo a voi” . Quello sarebbe stato il segno che il ponte levatoio era abbassato e la strada al castello aperta per irrompere e catturare il conte.

Giunse il giorno prefissato, una tempesta si abbatté in quella zona, il vento soffiava forte tra le torri, il fiume sottostante si rigonfiava facendo rotolare grossi massi. Il conte dormiva profondamente, Atì ascoltava il dolce suono del liuto provenire dalla stanza del suo amore. Appena la voce del paggio scandì i versi convenuti: “E disse Cristo agli apostoli suoi, quando volete entrare sta a voi”,  il ponte levatoio fu calato e i nemici fecero ingresso all’interno delle mura del castello e senza rispettare il patto catturarono il giovane e il conte che era immerso nel sonno. Legati mani e piedi i due uomini, gli invasori andarono alla ricerca della fanciulla, ma, nella sua stanza, trovarono il letto vuoto, una candela accesa e il Vangelo alla pagina in cui San Matteo racconta il tradimento di Giuda. Cercarono ancora la contessina in ogni angolo del castello ma non trovarono alcuna traccia. Il conte e il paggio legati insieme furono messi in una botte e rotolati giù dal dirupo. Il castello fu incendiato e bruciò per tutta la notte tra la furia del vento.

Della povera Atì non si seppe più nulla e il suo corpo non fu mai rinvenuto, solo il suo spirito è ancora fra quei monti, tra  le rovine dell’antico castello distrutto.

I pastori, nelle notti di luna, dicono di vedere le belle sembianze di una donna avvolta da un velo che guarda lontano e ascolta, ascolta il canto del tradimento. Dal fondo della valle, invece, salgono le voci dei fantasmi del conte che altero giura vendetta mentre il paggio piange il suo tradimento.