L’ARRESTO DEL BRIGANTE MUSOLINO DAL DIARIO DEL CARABINIERE AMERIGO FELIZIANI

Amerigo Feliziani nasce il 2 luglio 1877 nella frazione di Collelungo del Comune di Baschi (Terni). Da sempre animato dal desiderio di entrare nell’Arma dei Regi Carabinieri, riesce a realizzarlo nel 1898. In servizio ad Acqualagna (Pesaro-Urbino), Feliziani ha l’occasione di compiere una mirabile operazione di servizio che si conclude con l’arresto del brigante calabrese Giuseppe Musolino, che così racconta al suo diario:

… era il pomeriggio del 9 ottobre 1901, il brigadiere mi comandò di perlustrare insieme con il commilitone La Serra Antonio un area a ridosso della contrada Farneta con lo scopo preciso di rintracciare gli autori di un sanguinoso delitto che aveva aspramente amareggiato i nostri animi: l’uccisione del giovane carabiniere Michele Viviani in una campagna nella provincia di Pesaro, compiuta non si sa da chi, ma attribuita a dei girovaghi.

Ad un certo punto, in un terreno coltivato, vedemmo un individuo che dal modo come si aggirava, destò in noi qualche sospetto. Il mio compagno ed io ci guardammo in viso: – che sia uno degli assassini del nostro commilitone? – E ci dirigemmo verso di lui. Si trattava di un giovanotto aitante, robusto, elastico. Dopo averci scorto lo sconosciuto volle simulare una perfetta indifferenza e fece come per venirci incontro. Poi ad un certo punto se ne andò verso una casa colonica. Si radicò allora in noi la convinzioni che si trattava di un latitante. Piombammo nel casolare: il collega La Serra rimase sulla strada ed io salii di sopra. L’individuo nessuno lo conosceva, non era entrato, ma soltanto passato vicino sfiorando una donna che gli sentì dire, come parlando a se stesso: “Sono carabinieri”.

In quel mentre guardando fuori dalla finestra mi accorsi che egli si trovava ad un trecento metri di distanza e camminava in direzione di una collinetta evidentemente per nascondersi.

Ritornai in strada ed immaginando che il misterioso individuo avrebbe preso il sentiero campestre che fiancheggiava la strada, ci dirigemmo su questo per incontrarlo sulla direzione opposta. Il mio collega non poteva correre a causa di una recente convalescenza. Fu così che io lo lasciai indietro per tema che la preda sfuggisse. Scavalcata la collinetta mi trovai vis a vis con il giovane a pochi metri di distanza.

Questi cercando di mascherare il suo turbamento fingeva di volermi passare accanto, ma io gli intimai di fermarsi. Egli si arrestò un istante perplesso e poi si dette alla fuga. Io perdetti il lume degli occhi, sicuro di aver rintracciato l’assassino del nostro commilitone. Mi detti ad inseguirlo, e quando gli ero già a cinque o sei metri lo vedo cadere. Aveva inciampato sul filo metallico di una vigna, inciampo anch’io e gli sono sopra come un bolide, lo afferro con una mano per il collo e con l’altra per il braccio destro e con le ginocchia lo premo sull’addome con tutte le forze dei miei ventiquattro anni centuplicate dal desiderio di vendicare il mio povero commilitone di Pesaro.

Lo sconosciuto si divincola e cado anch’io; ci dibattiamo tra le zolle, ma non lascio neppure per un attimo la preda. Riesce ad impugnare la rivoltella con la sinistra e cerca di alzarsi. Io sdrucciolo, ma fortunatamente lo afferro per le gambe ed egli è di nuovo con me a terra. Lo abbraccio e riesco ad afferrarlo con i denti all’orecchio destro.

Frattanto giunge l’altro milite. In due dopo una lotta disperata, ma in cui avemmo sempre il sopravvento, riuscimmo a ridurlo all’impotenza.

Allora egli divenne cortese e supplicò di non mettergli le catenelle perché era un galantuomo e che non aveva nulla a che fare con la Giustizia, tentò di offrirci 250 lire in cambio della sua libertà. Naturalmente gli vennero messe le catenelle e lo perquisimmo.

Era in possesso di una rivoltella, di un pugnale a serramanico lungo venti centimetri, di alcuni sigari e di una ciotola di capelli grigi che poi sapemmo appartenere alla zia Filastò, alla quale era particolarmente affezionato. Indossava calzoni color caffè, giacca scura alla cacciatora e berretto: al collo un fazzoletto affumicato per il lungo viaggio in ferrovia. Aveva inoltre un cappello a cencio per cambiarsi d’aspetto ed un foglietto stampato con la Passione di Gesù con la scritta: chi porterà sempre con sé questa devozione non morrà di morte violenta…“.

Tratto da ilgazzettinodibrindisi.it

amerigo feliziani

LA STORIA DI GIUSEPPE MUSOLINO (IL BRIGANTE)