ILLUSTRI REGGINI: DIEGO VITRIOLI

Diego Vitrioli nasce a Reggio Calabria il 20 maggio 1809 da Tommaso e Santa Nava ed è stato un poeta e latinista italiano che grazie alle sue opere contribuì a far comprendere la realtà reggina ai grandi di quel tempo, narrandone l’ospitalità e il suo senso di libertà che egli spesso ispirava.

Ebbe una educazione di tipo prettamente classica, venuta dagli insegnamenti di dotti canonici quali Antonino Rognetta e Gaetano Paturzo. Paragonabile al Pascoli per le sue attitudini umanistiche, molto presto si fece notare per le sue doti classificandosi tra i primi posti in vari concorsi.

All’età di 25 anni, grazie alla conoscenza della lingua greca e latina, riuscì infatti a rivelarsi al mondo vincendo il Certamen poeticum Hoeufftianum con lo Xiphias, poemetto di 115 esametri, che rievoca le emozioni che suscita la pesca del pescespada nello Stretto tra Scilla e Bagnara. Con questa composizione il Vitrioli ottenne la gloria, per essere stato ritenuto degno, dalla commissione del premio hoeuftiano di Amsterdam, della medaglia d’oro per la pregevolezza dello stile e della composizione.

Successivamente ottenne la cattedra di lingua latina e greco antico nel Real Collegio della sua città, di cui era stato allievo, e poi Bibliotecario della Civica Biblioteca reggina (oggi Biblioteca Pietro De Nava) che gli consentì di approfondire gli studi che aveva cominciato.

Aveva 46 anni quando sposò una nobildonna dalla quale, dopo due anni, ebbe un figlio di nome Tommaso. Con la consorte non andava molto d’accordo e la morte del figlioletto di soli sette anni fece infatti separare i due coniugi anche se il poeta continuò ad omaggiare la moglie della prima copia di ogni sua pubblicazione.

Nel 1860, in seguito all’ingresso dei garibaldini a Reggio, Vitrioli venne esonerato dai nuovi dirigenti dall’incarico di bibliotecario perché ritenuto “illiberale” decidendo di ritirarsi in casa e dedicandosi ai suoi scritti. Questa situazione fece amplificare i suoi salienti aspetti caratteriali tendenti ad una ricerca di solitudine ed un profondo attaccamento ai principi cattolici. Carattere questo che gli procurò l’incomprensione di una larga parte dei concittadini e un netto distacco fra se stesso e la classe dirigente del tempo, patriottica e anticlericale, ma che gli assicurò benevolenza da parte di papa Pio XI prima e poi con il suo successore, in carica dal 1878, Leone XIII. Fra quest’ultimo e Vitrioli ci fu una profonda ammirazione, mantennero una fitta corrispondenza epistolare, il Papa, che lo chiamava “principe dei letterati”, gli offrì di istituire per lui una cattedra in Vaticano pur di averlo con sé a Roma.

Nel maggio del 1896 fu offerto al Papa, su iniziativa dell’Arcivescovo di Reggio, il Cardinale Gennaro Portanova, un grosso pescespada accompagnato da un epigramma del Vitrioli che, tradotto in italiano, recita così:

Giacché una volta Cristo a te diede le mistiche reti riceviti ora, o sommo Pontefice, un pescespada. Esso preso sotto i gorghi di Scilla con celere barchetta, ben volentieri viene ai tuoi piedi. Avrebbe voluto venire in una sua compagnia una torma di pesci, quanto ne nutrono le acque del turrito Faro, ma il nostro pescespada quale abitante del siculo stretto si dia solo esso piuttosto in pasto al Pontefice. Sia questa la gloria più grande di questo pesce vagante per i flutti del mare, sia questa la somma gloria dell’Uomo armato di tridente. Ordunque addio conchiglie e rombi delle acque del Faro, il pescespada saporito sia dato in pasto al Pontefice.

Il Vitrioli, come detto, era un solitario, usciva dalla sua casa, che era il suo tempio, esclusivamente in carrozza chiusa per andare al mare, in collina o in luoghi solitari dove scendeva a terra solo se non vi fosse stata anima viva e come un innamorato volgeva tutta l’ammirazione al panorama.

Una delle poche volte che fu visto in giro con meraviglia di tutti, fu nel dicembre 1876, quando maestoso e solenne col petto fregiato dalle ricche decorazioni, accompagnò i resti mortali di Vincenzo Bellini  che attraversarono la città per arrivare poi a Catania.

La sua produzione artistica, anche come ritrattista, è numerosa. Egli compose diversi quadri di soggetti calabresi, e specialmente reggini, cogliendo pose e atteggiamenti caratteristici.

 “Xiphias”. Poemetto latino in esametri, si compone, nella edizione definitiva di tre canti: nel primo, Aglaja, è descritta appunto la poesia dello Xiphias; nel secondo, Thalia, è narrato il mito di Scilla, splendida giovinetta, trasformata dalla maga Circe, gelosa dell’amore che nutriva per lei Glauco, in orribile mostro; nel terzo, Euphrosyne, sono riportati i canti e i riti dei pescatori dopo l’uccisione del pesce spada.

Veglie Pompeiane” (in italiano). “Ritratto paterno“,”Epigrammi“,”Saggio di versi in greco“,”Elegie latine“,”Elogio di Angela Ardinghelli” in latino o greco con traduzione italiana.

Presso la Biblioteca De Nava di Reggio Calabria è custodita  la corrispondenza giovanile del Vitrioli mentre la Biblioteca Braidense di Milano conserva una breve lettera autografa inviata ad Alessandro Manzoni dal latinista calabrese il 23 aprile 1866.

Morì il 20 maggio 1898 a Reggio Calabria dove volle sotto il suo ritratto questo epigramma: “È patria mia la Brezza; mi allevò Calliope col miele delle Pieridi.”

Nella sua città a lui è intitolata una strada, una scuola e gli è dedicato un monumento ricavato da una colonna originale d’epoca romana, che risiede sullo splendido Lungomare Falcomatà.

Diego_Vitrioli

In foto Ritratto a mezzo busto del latinista reggino Diego Vitrioli e il portale in pietra di Siracusa della sua casa,ubicata di fronte alla villa Comunale di Reggio Calabria, resistita al terremoto del 1908 ma danneggiata durante i bombardamenti e poi demolita nel 1962. Il portale venne messo all’ingresso della villa e successivamente spostato nella posizione attuale nel 1974.