I BORGHI DI REGGIO CALABRIA: CENNI STORICI SUL TERRITORIO DI VILLA ARANGEA, LA MINIERA

Nel 1752 sotto il regno di re Carlo III di Borbone, nel territorio tra Arangea e Gallina, fu fondato uno stabilimento chiamato “Real Fonderia”, dal quale si ottenevano ferro e anche argento. Il Luogo dove vennero impiantate le fonderie, tutt’oggi da il nome al piccolo rione “La Miniera”. Nello stesso luogo fu edificata una chiesetta dedicata a San Giovanni Nepomuceno. La cappella gli venne consacrata, perché, essendo Santo della Boemia, veniva venerato con maggiore devozione dagli operai e dalle maestranze di origine tedesca che lavoravano nello stabilimento. La statua del Santo fu donata dal re Carlo III e dalla moglie regina Amelia. Per sollecitazione della popolazione del luogo, anche dopo la chiusura della fonderia, il cappellano continuò a celebrare messa. In seguito, nel 1773, la chiesetta venne affidata a don Filippo Megale. Alla sua morte succedette il sacerdote Pasquale Tripepi. In una lettera di quest’ultimo si venne a conoscenza che le condizioni del tempietto erano precarie a causa del tetto pericolante. Grazie all’intervento di Giorgio Retez la chiesetta fu ricostruita.

Il 24 marzo 1782 il signor Ignazio Lavagna acquistò una porzione del fondo Miniera, con l’obbligo di offrire 45 o 49 centesimi al cappellano.  Il fervore che caratterizzò il regno di Carlo III non tralasciò la ricerca di minerali nel sottosuolo dello stato. In quel periodo molti ingegneri minerari e geologi battevano tutte le regioni d’Italia per cercare giacimenti sfruttabili.

I giacimenti più importanti in Calabria furono trovati a Pellaro, a Roccaforte del Greco, a Roghudi, dove si estraeva rame, piombo, oro e argento. L’ingegnere Emilio Cortese scrive di aver trovato le vestigia di una fonderia di rame. Nel 1792, a spese del tesoro, si fondò uno stabilimento dove si otteneva ferro, argento e piombo. In questo stabilimento lavoravano circa 700 persone, tra cui tecnici e operai. Col terremoto del 1783 crollò la Miniera e buona parte degli edifici circostanti.

Verso la fine del 1800 le scorie prodotte dalla fusione erano ancora abbondanti. L’opera dei contadini, che trasformarono in agrumeti la zona dove era posta la fonderia, contribuì a dissolvere le scorie, seppellendo con esse le vestigia di una civiltà industriale.

Oggi i resti dello stabilimento non sono molto evidenti a causa della vegetazione che impedisce la veduta, tranne che un blocco di ferro certamente ricavato dagli alti forni della Miniera.

Accanto al blocco di ferro vi è situata un’edicola muraria dell’ECCE HOMO, ristrutturata dal defunto parroco di Villa Arangea don Pasqualino Rullo.

Per quanto riguarda la cappella di San Giovanni Nepomuceno, vi sono numerosi resti ancora oggi visibili, circondati da piantagioni di bergamotto.

 

Tratto da “LA SCUOLA  SCOPRE IL TERRITORIO” della Scuola Media Statale Pythagoras –Ravagnese- Reggio Calabria, edito da “FALZEA EDITORE” NEL 2002