BELLEZZE DI CALABRIA: LA CHIESA DI SAN DOMENICO A STILO

Fatta costruire molto probabilmente intorno al Seicento dai padri Domenicani, chiusa in seguito ai crolli avvenuti agli inizi del secolo scorso, dopo circa settant’anni è stata riconsacrata ed aperta al culto. Era annessa al Convento di Santa Maria del Gesù, soppresso in seguito ai danni riportati nel terremoto del 1783, di cui rimane qualche struttura muraria ed ambiente ipogeo inglobato nelle abitazioni retrostanti l’area del portico. La fondazione del convento, annesso all’edificio di culto, si deve collocare al 1860. “Il vescovo Marcello Sirleto autorizzò ad un domenicano, predicatore della quaresima nella città, la costruzione del convento al di fuori delle mura urbiche, davanti alla porta detta di San Giovanni, ed assegnò ai religiosi una chiesa dedicata a Sant’Agata; più tardi però i frati ne costruirono un’altra e la dedicarono a Santa Maria di Gesù”. Di vaste proporzioni, a croce latina, vi si accede da un grande portale disposto a fronte sulla Vallata dello Stilaro. L’interno era una volta assai più adornato: ogni nobile della cittadina, tanti erano allora, aveva una cappella con blasone. La maestosa cupola a due foglie, che ancora padroneggia l’immensa struttura, era già in quei secoli il polo artistico centrale. Nobile e sapiente era soprattutto l’architettura del transetto, mentre il tabernacolo dell’altare centrale era chiuso da un portello in argento che recava una iscrizione; il tutto risaliva alla stessa epoca della Chiesa.

La chiesa è legata all’ingegno e all’operosità sublime di tanti uomini illustri di Stilo e soprattutto alla formazione filosofica di Campanella, frate dell’Ordine di San Domenico, che nel piccolo Convento annesso dimorò durante la sua forte giovinezza e nel pieno formarsi delle sue idee di rigenerazione politico-morale. Congiurava, lottava e pure in questo suo spirito irrequieto trovava posto la meditazione che lo portava a visioni avveniristiche, e che lo ha portato almeno, alla realizzazione e instaurazione immaginaria della utopistica “Città del Sole”. Riusciva a porsi persino come arbitro delle continue dure lotte tra le famiglie dei  Carnovale e i Contestabile di Stilo e placava, soltanto ammonendo, la loro smania maliziosa. E tra queste turbolenti azioni, predicava tempi migliori. Formava così il suo vigore e irrobustiva la sua mente perché dure prove l’aspettavano nel suo forzato peregrinare ma, ad ogni cosa avrebbe saputo resistere. Tanto fu grande, insomma, che in lui “ … tutta sentì fondersi, … la storia del passato e del presente, per farla palpito dell’avvenire” (Luigi Cunsolo).

Tratto da: “STILO E LA VALLATA DELLO STILARO”, Laruffa editore, 2002