Mar 21 2019
I MOTI DI REGGIO DEL 1847
Lo storico Lucio Villari scrisse su La Repubblica l’8 dicembre 1992: “Pochi sanno che la grande fiammata rivoluzionaria del 1848 che investì l’Italia e l’Europa, e dalla quale ha inizio il nostro Risorgimento nazionale, fu accesa proprio a Reggio il 2 settembre 1847”. Ecco i fatti:
Nonostante la censura, gli arresti, le esecuzioni, cresceva la forte richiesta di riforme politiche e diritti costituzionali in tutto il Regno. Nella città di Reggio Calabria, considerata dai Borbone “fedele”, era attivissimo un Comitato Rivoluzionario composto tra gli altri, da Gian Domenico Romeo di Santo Stefano d’Aspromonte, coadiuvato da suo figlio Stefano, Girolamo Arcovito, Domenico Muratori, i fratelli Agostino e Antonino Plutino, Domenico Spanò Bolani, Giovanni Carrozza, Antonio Furnari,Casimiro De Lieto, Cosimo Repaci e dal canonico Paolo Pellicano. Le autorità borboniche erano state informate da alcune “soffiate” e l’Intendente Rocco Zerbi aveva allertato i capi urbani della provincia di Reggio Calabria.
I comitati rivoluzionari anti Borboni si riunirono nel giugno del 1847 ed in quella occasione si decise di una insurrezione congiunta delle due città dello Stretto il 2 settembre di quell’anno.
I messinesi, però, con l’intento di far fuori tutto lo stato maggiore borbonico presente a Messina per una festa, commisero l’imprudenza di anticipare di un giorno la sollevazione, con soli cinquanta patrioti, non riuscendo nell’intento, sopraffatti dai soldati in poche ore.
Il 2 settembre 1847, come programmato, a Reggio Calabria scoppia la rivolta anti-borbonica. Come ci narra il Vassalli, una quarantina di giovani sul Corso Borbonico (oggi Corso Garibaldi) erano preceduti da una banda musicale. Improvvisamente dalla parte opposta comparve la Guardia armata di Pedavoli, (oggi Delianova), nota per il suo bestiale attaccamento all’ordine costituito rappresentato dall’intendente di Palmi, Rocco Zerbi. Stavano per sparare i moschetti quando tra le due schiere opposte si intromise il prete Francesco Surace, di Sant’Alessio, armato di pistola e di un grande crocifisso riuscendo a bloccare la sparatoria. I quaranta divennero centinaia con l’arrivo di altri cittadini mobilitati da alcuni esponenti della rivolta. Il comandante della guarnigione capitola e consegna le armi agli insorti che conquistano così la città. La stessa sera fu costituita una Giunta Provvisoria di Governo composta da Domenico Muratori, Casimiro De Lieto, Federico Genoese, Antonio Cimino e Antonio Furnari, alla cui presidenza fu chiamato il sacerdote Paolo Pellicano.
Il giorno dopo gli eventi precipitarono con l’arrivo della flotta borbonica al comando del fratello di Ferdinando. Provenienti da Napoli, le imbarcazioni Il Ruggiero e Il Guiscardo, sbarcarono a Pizzo tremila soldati al comando del ben noto generale Ferdinando Nunziante. La repressione iniziò con il bombardamento di Gallico e Pellaro e, per evitare il bombardamento della stessa Reggio Calabria, la Giunta decise di ritirarsi, insieme ai comandi dell’insurrezione, sull’Aspromonte, dividendosi in piccoli gruppi o bande.
In contrada Cicciarello di Marrappà, nei pressi di Podàgorni la banda guidata da Domenico Romeo si scontrò con le famigerate guardie urbane di Pedavoli, le quali, con selvaggio furore, dopo averlo ucciso, fu barbaramente decapitato e la sua testa, issata sopra un palo, fu portata in giro per la città per poi essere esposta nel cortile delle carceri di San Francesco per due giorni, quale monito per i ribelli. Repressa la rivolta i principali capi furono condannati al carcere duro o all’ergastolo, sorte che toccò a Federico Genoese, Paolo Pellicano, Casimiro De Lieto, Stefano Romeo, Gian Andrea Romeo, Gaetano Borruto, Pietro Mileti, Raffaele Travia, Giovanni Carrozza, Domenico Miceli, Gaetano Idone e Antonio Amato.
Il 1847 reggino fu, a tutti gli effetti, il preludio alla grande stagione rivoluzionaria del 1848 in Italia e in Europa.
La pirofregata a ruote “Guiscardo”